Berlusconi suona la carica al Pdl, ma nemmeno la Lega ci crede

Al convegno dei Popolari liberali di Carlo Giovanardi, a Verona, Silvio Berlusconi torna a parlare in pubblico per la prima volta dopo le dimissioni e disvela involontariamente tutte le contraddizioni della sua forza politica, che continua a tenere il piede in due scarpe: da un lato sostiene (o fa finta di sostenere) il governo Monti, dall’altro si dichiara già in “campagna elettorale” e si scaglia contro alcune misure in arrivo. L’unica, piccola, differenza dal passato, nel solito discorso “fotocopia”, sembra essere la sua definitiva uscita di scena come candidato premier, ruolo che conferisce per “discendenza” ad Angelino Alfano, alla faccia della democrazia interna al partito e soprattutto in barba alle tanto strombazzate “primarie” più volte paventate dallo stesso segretario del Pdl. Per sè, invece, l’ex-premier riserva un modesto “Lavorerò dietro le quinte” che risuona quasi come una minaccia più che una promessa.

Arrivato sulla scena insieme al suo “delfino”, accolto dal solito tifo da stadio, da cori inneggianti a “Silvio” e da un gruppo di persone con spillette riportanti la scritta “Love, no droga” (il cavallo di battaglia di sempre di Giovanardi), Berlusconi appare però abbastanza spossato, e l’intervento è alquanto breve.

Il tema di fondo richiama ancora una volta lo slogan di un vecchio show di Mike Bongiorno “Non lascio, raddoppio” ed il discorso parte con l’annuncio di una dislocazione “capillare” del partito per tutto il Paese, anche utilizzando internet. Ma la maggior parte del tempo, purtroppo, è dedicata all’ennesimo, ripetitivo, ormai davvero stantio discorso contro i fantomatici “comunisti”: “Siamo scesi in campo nel ’94, lasciando anche i mestieri che ci appassionavano, perché non volevamo che il Paese cadesse nelle mani dei comunisti. Purtroppo si cerca di far passare nel dimenticatoio questa tragedia, ma noi ce la ricordiamo perché è stata la tragedia, quella del comunismo, più disumana e criminale per la storia dell’uomo“. Che dire di tutto ciò, se non che la maggioranza degli italiani probabilmente ricorda meglio ciò che è accaduto sotto il proprio naso negli ultimi 15 anni di sostanziale egemonia di centrodestra berlusconiano.

L’unico accenno concreto riguarda la questione della tracciabilità dei pagamenti, norma che il premier Mario Monti sta ridisegnando, una norma introdotta dall’ultimo governo Prodi e poi frettolosamente abrogata da Berlusconi, che infine fu costretto a “ripescarla”, seppure in una forma diversa. Ed ancora una volta, invece di proporre un dibattito costruttivo in seno alla nuova maggioranza di cui (fino a prova contraria) il Pdl fa parte, Berlusconi si rifugia negli slogan ad effetto, rievocando lo “Stato di polizia tributaria” ed instillando il “terrore” per un “cervellone” che spia tutto quello che fanno i cittadini, un pò come quando dipingeva una magistratura intenta ad ascoltare milioni di italiani mentre parlano al telefono dei loro fatti personali.

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Ma è il finale che gli riserva purtroppo un brutto scivolone. Berlusconi parla di un’alleanza con la Lega viva e vegeta, ben “solida”, una alleanza che “Non può essere assolutamente resa più debole con questi ultimi accadimenti e con il governo dei tecnici”. Non passa qualche ora che l’ex ministro Roberto Calderoli gli risponde a distanza con una battuta secca: “L’alleanza a livello nazionale non può essere solida perchè non esiste più”.

Ognuno dice la sua. Tornano alla mente le esternazioni recentissime di Umberto Bossi che ha ribadito che l’ex-premier si è dimesso “…perché è stato ricattato, gli hanno ricattato le imprese…” anche dopo che, frettolosamente, da Palazzo Grazioli era arrivata una nota di smentita che enfatizzava ciò che da varie parti si è fatto apparire come un nobile gesto nell’interesse del paese.

Non resta davvero che augurarsi che tutte queste siano ormai solo delle “ombre cinesi” del recente passato, e che il futuro ci riservi ben altro, possibilmente di meglio.

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