I parlamentari si ribellano al taglio dei vitalizi, suspance fino all’ultimo minuto

Roba da non credere o come volevasi dimostrare? Scene da “repubblica delle banane” nei palazzi del potere, dopo le decisioni prese congiuntamente dalle presidenze di Camera e Senato sulla revisione dei vitalizi dei parlamentari. Deputati in ordine sparso sbraitano e borbottano: Gianfranco Fini e Renato Schifani sarebbero addirittura accusati di aver deciso “all’insaputa di tutti”, con una sorta di ingerenza nella “autonomia del Parlamento” ed è tutto un continuo fiorire di consultazioni e capannelli per correre ai ripari, arrivando ad ipotizzare, tra le “contromisure” possibili, delle vertenze legali o addirittura dimissioni di massa.

I giornalisti assicurano che a passeggio tra Montecitorio e Palazzo Madama è impossibile non imbattersi in un diffuso malumore, che pare addirittura crescere col passare delle ore. Dei veri e propri “indignados” di lusso, che si sfogano a voce bassa per non rischiare di essere messi all’indice dall’opinione pubblica, ma che non riescono proprio a starsene buoni.

Un movimento trasversale che purtroppo non fa distinzione di “colore” o schieramento, presente in centrodestra e centrosinistra, con numerosi scontenti che non sopportano questo cambio delle regole del gioco a partita già iniziata, magari a pochi mesi dall’ottenimento dell’agognato vitalizio a spese dei contribuenti, per chissà quale fantasmagorico impegno politico. Dal 1˚ gennaio si passa tutti al sistema contributivo e l’età minima per la “pensione” di allontana, anche per chi era in procinto di raggiungere la precedente soglia e cioè l’età di 50 anni, mentre ora dovrà aspettarne altri 10 o 15, a seconda dei casi. Ma l’accordo fatto da Fini e Schifani con i leader dei partiti sembra tenere, tanto che i capigruppo di Pd e Pdl, Dario Franceschini e Fabrizio Cicchitto, hanno pubblicamente diffidato gli eventuali furbetti: “Se qualcuno pensa a dimissioni per godere del vecchio sistema del vitalizio, sappia che sarebbero respinte in aula”.

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Tuttavia l’incognita su eventuali ricorsi non è di entità trascurabile, anche secondo Antonio Mazzocchi, avvocato in forza al Pdl, che dichiara alla stampa: “Se un deputato entrato alla Camera con un diverso regime decidesse di fare causa allo Stato, credo che vincerebbe“.

In ogni caso, tra incontri formali ed informali, mercoledì prossimo si riuniranno i Questori di Camera e Senato per redigere la proposta finale da inoltrare all’Ufficio di presidenza che dovrà avere l’ultima parola, il tutto forse entro il 20 dicembre, in corrispondenza dei tempi previsti per la manovra economica di fine anno.

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