Cina, economia rallenta e Pboc pensa a stimoli finanziari

Il gigante asiatico è nervoso in queste settimane. La crescita continua ad essere sostenuta, se è vero che il terzo trimestre dell’anno ha visto crescere l’economia del 9,1% e gli investimenti esteri entro la fine di dicembre dovrebbero attestarsi al livello record di 120 miliardi di dollari. Tuttavia, c’è più di un segnale che qualcosa inizia a mettersi di traverso.

I cinesi sono preoccupati per la crisi del debito europeo, visto che il Vecchio Continente rappresenta il suo più importante mercato di sbocco. E vista la domanda molto debole anche di USA e Giappone, alle prese con rispettive difficoltà, il governo di Pechino teme che un forte rallentamento dell’export provochi una decelerazione brusca della crescita, con inevitabili tensioni sociali.

Ecco, perché Pechino ora punterebbe a stimolare i consumi interni, che dovrebbero via via sostituire l’importanza dell’export, il quale rappresenta ancora il 40% della ragione della crescita. Per fare questo, il governatore della People’s Bank of China, la banca centrale cinese, Zhou Xiaochuan, ha sostenuto che sarebbero allo studio alcune ipotesi per fare sì che il settore finanziario sia di sostegno all’economia reale, anche perchè esso ne è fortemente correlato.

Non si è ben capito cosa il governatore intenda per sostegno, mentre è evidente l’intervento messo in atto dalla banca, in questi giorni, a sostegno dello yuan, per stabilizzarne il corso contro il dollaro, dopo un paio di settimane di nervosismo sul mercato valutario. Lo yuan non è convertibile e il suo cambio è fisso, sebbene regolato dalla banca centrale, che ne prevede un’oscillazione massima quotidiana dello 0,5%.

Il segno del possibile cedimento è dato dal rallentamento delle esportazioni, che a novembre sono cresciute del 14%, contro il 16% di ottobre, mentre il dato di dicembre sulle Pmi rimane negativo, attestandosi sotto quota 50, che rappresenta lo spartiacque tra crescita e recessione della produzione.

Per questo, la Cina medita sul da farsi, vittima della sua stessa politica valutaria aggressiva, che ha provocato l’arresto della crescita in Occidente, provocando un tonfo nella sua produzione industriale. Sono quegli “squilibri globali”, di cui parlava Mario Draghi.

Impostazioni privacy