A chi appartengono i “follower”? Causa a blogger su Twitter

Un processo negli Stati Uniti fra l’azienda PhoneDog ed un suo ex dipendente ha fatto sorgere delle domande: a chi appartengono i profili su Twitter? Che valore hanno i “follower” di un profilo? Noah Kravitz è un blogger statunitense che lavorava per l’azienda PhoneDog. Nel 2006 Noah comincia a scrivere per quest’azienda, recensendo gli ultimi modelli di cellulari in commercio, pubblicando dei video in cui smonta i vari telefonini per mostrarne le componenti interne. In seguito alla sua collaborazione con PhoneDog, decide di aprire un profilo su Twitter, denominandolo “Phonedog_Noah”(con chiaro riferimento all’azienda per cui lavora), su quali pubblica i suoi lavori per coloro che lo seguono(nel gergo i suoi “follower”). Il profilo viene seguito da molti utenti, ma Noah decide poi, l’anno scorso, di terminare il suo rapporto lavorativo con la PhoneDog. Perciò si mette in proprio, anche su Twitter, continuando a parlare di telefonia mobile, utilizzando lo stesso profilo sotto il nome di “Noahkravitz”; al momento del suo licenziamento dall’azienda per cui lavorava, era seguito da ben 22mila utenti.

Al New York Times, in un’intervista, Kravitz ha dichiarato di aver lasciato la Phonedog con un accordo: il blogger poteva continuare ad utilizzare il suo account, cambiando però nome. L’intoppo però è avvenuto la scorsa estate, quando la PhoneDog ha presentato una denuncia presso la Corte Distrettuale del Nord California, rivendicando la proprietà dell’account e dei follower. Proprio qui nasce l’interesse “etico” inerente a questo caso: l’azienda ha considerato la lista dei seguaci di Noah come se fosse un vero e proprio portafoglio clienti, quindi rivendicandone la proprietà.

Il blogger è stato denunciato per appropriazione indebita di segreti industriali, ostruzione degli introiti e controllo dell’account. Il danno è stato quantificato: 2,5 dollari al mese per follower, che per otto mesi fanno un totale di 340mila dollari. Ecco cosa ne pensa PhoneDog: «I costi e le risorse investite da PhoneDog Media per accrescere i follower e sostenere la campagna marketing attraverso il social network sono considerevoli e pertanto considerati come proprietà PhoneDog Media. Siamo intenzionati a tutelare fino in fondo le nostre liste clienti e le informazioni confidenziali, la proprietà intellettuale, le password».

L’avvocato Henry J. Cittone, esperto di cause sulla proprietà intellettuale, avvisa l’opinione pubblica sull’importanza di questo caso:  «Questa causa creerà un precedente nel mondo di Internet, in quanto investe la proprietà dei profili aziendali nei social network».

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