Brutte notizie sono giunte ieri non solo dagli USA, dove l’agenzia di rating Standard & Poor’s ha fatto strage sui titoli di stato di mezza Europa, ma anche da Atene. Il governo greco, presieduto da due mesi e mezzo dal tecnico Lucas Papademos, ha annunciato di avere interrotto momentaneamente le trattative con l’Institute of International Finance, che racchiude 450 banche creditrici di Atene.
Le trattative si sarebbero interrotte dopo le tensioni degli ultimissimi giorni, a causa di un irrigidimento di parte dell’Iif e dello stesso esecutivo ellenico, che aveva anche annunciato la possibilità di varare una legge con effetto retroattivo per obbligare tutti i creditori a partecipare all’accordo sullo swap dei vecchi titoli con quelli nuovi, decurtati e a più lunga scadenza.
L’obiettivo di Atene resta la cancellazione di 100 miliardi di euro di debito, grazie a un haricut del 50% dei titoli con scadenza entro il 2020, cosa che abbasserebbe il debito in pochi anni dai 360 miliardi di euro attuali e da un rapporto di quasi il 170% a uno contenuto al 120% del pil.
Una delle ragioni della rottura sarebbe il rendimento annuo da assegnare ai titoli rinegoziati: Atene non andrebbe oltre il 4%, mentre i creditori spingerebbero per il 5%. Non solo: parte delle banche sarebbe intenzionata a non partecipare allo swap, avvalendosi dei Cds, che le assicurano dal rischio default.
Sullo scenario già cupissimo incombe anche l’esigenza di Papademos di ottenere al più presto una prima tranche dei nuovi aiuti europei per complessivi 130 miliardi, necessaria a evitare il default al più tardi a fine marzo. A febbraio, infatti, arrivano a scadenza 14,4 miliardi di bond governativi e difficilmente la Grecia ce la farebbe da sola. E l’Fmi non sarebbe affatto ottimista, preparandosi a una missione per il 17 gennaio, il cui esito sarà determinante per verificare la sua disponibilità a rilasciare gli aiuti di sua competenza.





