La cittadinanza ai figli degli immigrati? Non un “regalo” ma un “merito” secondo il ministro Cancellieri

Il tema è spesso riaffiorato nel dibattito politico degli ultimi mesi, specie da quando il presidente della Repubblica esternò che “negare la cittadinanza ai bambini nati in Italia da stranieri è un’autentica follia”, una posizione ribadita ancora qualche giorno fa in occasione dell’assegnazione di una “cittadinanza onoraria” ai nati da genitori stranieri nella Provincia di Pesaro Urbino. Non è un mistero che su queste parole hanno avuto modo di schierarsi, su fronti opposti, da un lato la Lega e il Pdl, contrari allo “ius soli” (diritto di cittadinanza derivante dal “suolo” su cui nasci) e dall’altro Pd, Idv, e Udc, con qualche distinguo proveniente invece da Fli.

Nella questione è intervenuto ora anche il ministro dell’Interno, Annamaria Cancellieri, durante la trasmissione Che tempo che fa, condotta da Fabio Fazio, chiarendo il suo pensiero secondo il quale il diritto di cittadinanza va certo agevolato ma non può essere concesso secondo un generico principio di nascita sul territorio italiano.

“Lo ius soli semplice ci porrebbe in condizione di far nascere in Italia bambini di tutto il mondo” ha detto in conclusione, una frase breve che, per chi la comprende, è in realtà molto aderente alla realtà del periodo storico in cui stiamo vivendo, con l’Italia al centro di un fenomeno affaristico-malavitoso che gravita intorno allo sfruttamento dell’immigrazione clandestina. Semaforo verde, invece, ad una cittadinanza “…derivante da un insieme di fattori… Se un bambino è nato in Italia, i genitori sono stabilmente in Italia e magari ha già fatto un ciclo di studi qua, allora credo sia giusto”. Un concetto che a molti ha ricordato lo “ius culturae”, una sorta di terza via tra ius soli e ius sanguinis (cittadinanza ereditata dal genitore) teorizzata già dal ministro per l’Integrazione Andrea Riccardi, che aveva così sintetizzato il suo pensiero: “Deve prevalere non lo ius soli o lo ius sanguinis ma lo ius culturae, perché questi giovani sono cresciuti immersi nella cultura italiana”. E a ben vedere, lo stesso presidente della Camera, Gianfranco Fini, sembra aver già sposato questa impostazione, rifiutando l’idea di “uno ius soli automatico che lascia qualche dubbio” ed abbracciando l’idea che “è giusto dire che è cittadino italiano chi nasce in Italia, parla la lingua e ha concluso un ciclo di studi”.

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Ora bisognerà capire se questo pensiero di ragionevolezza riuscirà a mettere d’accordo eccessi opposti, anche se il senatore Pd Ignazio Marino (che da tempo ha depositato un ddl per lo “ius soli”) ha già espresso “rispettoso dissenso” per la posizione della Cancellieri, mentre invece la Lega (spalleggiata dal Pdl) era già pronta a fare le barricate contro la “follia” rappresentata dall’agevolazione della cittadinanza agli stranieri, come annunciato da Roberto Calderoli all’indomani delle esternazioni di Giorgio Napolitano.

Missione impossibile, dunque, o forse solo inadatta ad un governo tecnico? Beppe Grillo è stato duramente contestato in rete, forse troppo, per aver detto che questo argomento rischia di distrarre gli italiani da emergenze più impellenti, stigmatizzando gli opposti schieramenti: “Da una parte i buonisti della sinistra senza se e senza ma lasciano agli italiani gli oneri dei loro deliri. Dall’altra i leghisti e i movimenti xenofobi che crescono nei consensi per paura della liberalizzazione delle nascite”.

Se quindi una mediazione nell’attuale maggioranza sostenuta da forze ideologicamente contrapposte non fosse possibile, quale sarebbe il senso di gettare proprio ora lo scottante argomento sul tavolo se non quello di sfasciare tutto?

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