USA, Super-Tuesday non sblocca corsa primarie. Romney avanti

Ieri, dieci stati americani erano chiamati a scegliere il candidato del Partito Repubblicano da schierare contro Barack Obama alle elezioni presidenziali del 6 novembre prossimo. Si trattava di elezioni primarie per quello che da settimane era stato ribattezzato come il Super-Tuesday o Super-Martedì. Un voto decisivo per verificare chi abbia le chance di ottenere la nomination di Tampa Bay alla convention del Gop di fine agosto. L’esito del voto di ieri era molto atteso per il semplice fatto che la situazione non sembra sbloccarsi e se all’inizio di questa corsa, l’ex governatore del Massachussetts, Mitt Romney, sembrava dovesse chiudere la partita entro il primo mese, al contrario la sfida con l’italo-americano e ultra-conservatore Rick Santorum si sta facendo appassionante e molto dura.

E lo scenario di impasse si è confermato anche ieri. Su dieci caucus, che complessivamente assegnavano 419 delegati, oltre un terzo del totale necessario per ottenere la nomination (il numero magico è 1.144), Romney ha prevalso solo in sei, mentre Santorum ha ottenuto la vittoria in Oklahoma, Tennessee e North Dakota e l’ex speaker Newt Gingrich ha vinto, come ci si attendeva, nella sua Georgia. 

Ricapitoliamo i risultati. Mitt Romney ha vinto nettamente in Virginia, Vermount, Idaho, Alaska e nel Massachussetts, dove era stato governatore. Ha vinto anche nell’Ohio, ma di strettissima misura, se è vero che quando era stato scrutinato il 96% delle schede, Romney risultava in vantaggio su Santorum di solo un punto percentuale, attestandosi al 38% contro il 37% dell’avversario. Quest’ultimo è stato persino in vantaggio per larga parte dello spoglio, mentre per ore si profilava un testa a testa. E la sfida in Ohio non è affatto secondaria. Qui, tutti i repubblicani che sono poi diventati presidenti hanno sempre vinto. Oggi, poi, questo stato ha un significato particolare, trattandosi di un’area industriale, dove i lavoratori pagano lo scotto della crisi economica degli ultimi anni.

Non è un caso che Santorum abbia quasi sfiorato la vittoria. L’italo-americano riesce di gran lunga ad avere presa sull’elettorato di più umili condizioni sociali, mentre Romney appare come un ricco milionario, spesso distante dalla base conservatrice del partito, legata alle famiglie e al ceto medio, piuttosto che alle vicende di Wall Street.

Sempre l’Ohio fu determinante nel 2004 per la rielezione di George W. Bush contro John F. Kerry. Come dire, che qualsiasi candidato repubblicano che voglia andare o restare alla Casa Bianca deve fare prima o poi i conti con questo stato. E i conti di Romney non sono per nulla positivi.

E che il Super-Tuesday non abbia sbloccato la situazione lo capiscono bene tutti i candidati, che vivono la serata dello spoglio con sentimento molto diverso. Se Santorum vi vede la speranza di potere continuare la corsa per la nomination, Gingrich parla della possibilità ancora di farcela. Ma l’ex speaker non crede che il risultato possa essere ribaltato a metà corsa, bensì cerca di vendere cara la pelle. E un suo eventuale ritiro andrebbe a tutto vantaggio di Santorum, essendo entrambi candidati conservatori e cattolici, che pescano tra la stessa tipologia di elettorato. Già nelle scorse settimane si era vociferato di un ritiro di Gingrich e di un suo sostegno a Santorum, cosa che avrebbe forse determinato un Super-Tuesday favorevole a quest’ultimo, anzichè all’ex governatore del Massachussetts.

Dal quartier generale di Boston, allestito per l’occasione, Mitt Romney aveva preparato una festa con le migliaia di sostenitori accorsi per celebrare finalmente lo sblocco della corsa. Invece, già dall’intervento del candidato si capisce che le cose sono andate molto diversamente dal previsto. Romney riconosce il risultato migliore delle attese di Santorum e promette di ottenere la nomination. E’ evidente che c’è delusione dai risultati.

Al contrario, chi ieri ha potuto ridacchiare per l’andamento dello spoglio è stato il presidente Barack Obama, che a 8 mesi dalle elezioni non sa benissimo chi sarà il suo sfidante e assiste divertito alla lotta fratricida tra i suoi avversari, malgrado giunga da un periodo di crollo nella popolarità.

E i dirigenti nazionali del Grand Old Party sono tutt’altro che sereni. Ieri, si attendevano il rilancio definitivo di Romney, il candidato su cui punta l’apparato del partito, ritenendolo il più credibile contro Obama. Ora, se è vero che un pò tutti prevedono che sarà proprio lui a ottenere a Tampa la nomination, tuttavia, gli analisti politici iniziano a chiedersi in quali condizioni arriverà alla convention.

Come potrà contare Romney su una base elettorale compatta a destra, quando fino a poche settimane prima delle elezioni presidenziali si è protratto uno scontro senza quartiere tra i candidati dello stesso schieramento? Per questo, i vertici del GOP fanno pressioni, affinché la sfida abbia toni meno accesi e si evitino colpi bassi. Se a parole tutti sottoscrivono, la speranza di potere arrivare ad ottenere i voti necessari per la nomination crea le condizioni per una campagna molto accesa. Oltre tutto, Romney non riesce ad entusiasmare la base, che lo vota a stretta maggioranza solo come il male minore, ma senza alcuna convinzione.

 

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