De Benedetti molla Bersani, che straccia foto Vasto

Che pena, Bersani! Il segretario del PD avrà certamente avuto giorni migliori. Nelle ultime giornate, la sua leadership è stata di fatto trafitta sotto ogni punto di vista, tanto che adesso si da per scontata la sua uscita di scena. Devono ancora essere a punto i tempi e i modi, ma una cosa è certa: Pierluigi Bersani come leader del PD è finito. Se qualcuno avesse ancora dubbi sulla sua leadership, l’intervista dell’editore più potente del filone anti-berlusconiano, Carlo De Benedetti, essenza e macchina stesse del centrosinistra a corto di idee, li spazza via.

L’occasione è stata l’intervista alla trasmissione di Michele Santoro “Servizio Pubblico”, in cui il capo del gruppo L’Espresso ha affermato che a suo avviso Bersani non dovrebbe essere premier, perché la gente ha voglia di cambiare, quali che siano i suoi meriti e demeriti. Non dopo averlo elogiato e definito un amico, ma premier no.

Non è la prima volta che De Benedetti si dice non convinto delle capacità di Bersani di arrivare a Palazzo Chigi. In un’intervista al Corriere della Sera, ad esempio, aveva sostenuto che in tempi di comunicazione, il segretario del PD gli sembrava debole su questo versante. Peccato per Pierluigi, che le opinioni di De Benedetti non sono mai a titolo personale, o meglio, ammesso che lo siano, diventano immediatamente e con grande efficacia quelle della “macchina da guerra” del suo potente gruppo editoriale, con il tam tam mediatico di Repubblica, L’Espresso, che si riversa inevitabilmente e senza filtri sul piano politico. E’ stato così con i predecessori di Bersani, prima sostenuti con grande forza, ma mollati senza pietà dall’editore e dai suoi giornali al primo cenno di difficoltà. Parliamo dei caduti in disgrazia, di quel Walter Veltroni, che tante speranze aveva suscitata nelle sue redazioni, così come di Dario Franceschini, che nelle intenzioni di CdB doveva rappresentare la sintesi perfetta del catto-post-comunismo degli anni 2000.

Ma la fine di Bersani non è visibile solo nella penna dei giornali di riferimento per il centro-sinistra. In queste ore nel PD è tutto un vocio sul da farsi. Se ancora nessuno sembra averlo disarcionato e affrontato di petto personalmente è solo perché il partito non sa che pesci pigliare a livello di alleanze da qui al 2013.

Per questo, è proprio Bersani che cerca di giocare la carta dell’indietro tutta, paventando l’ipotesi che nel 2013 il suo PD non si alleerebbe con la sinistra radicale di Nichi Vendola e con i manettari di Tonino Di Pietro, bensì con i centristi di Casini. Lo spiega, quando afferma che già quando fu scattata la famosa foto di Vasto (quella in cui vengono ritratti i tre leader del centro-sinistra: Bersani, Di Pietro e Vendola), la sua idea era quella di mettere insieme le forze progressiste con quelle moderate. Un modo come un altro per dire che l’alleanza con Casini è sempre stata auspicata.

Ed esce allo scoperto, diremmo dal freezer, quel Massimo D’Alema, grande sponsor dell’attuale segretario del PD, che in tutti questi ultimi mesi ha preferito stare in seconda e terza fila, travolto da un malcontento della base che non lo ama granché. Ebbene, D’Alema sostiene che bisognerebbe mettere insieme Casini e Vendola, che poi è la stessa cosa che dice Bersani (che caso!).

Ma l’altra apertura del segretario è a un eventuale Monti-bis, cosa che aveva escluso solo pochi giorni fa, quando era stato proposto dall’ex premier Silvio Berlusconi. Sì a Monti premier anche dopo il 2013, ma solo se ci sarà a suo sostegno una maggioranza politica. Un’affermazione che mira a contenere i malumori dell’ala pro-governo dentro il PD e capeggiata proprio dall’ex segretario Veltroni.

Ma il gioco delle alleanze non lo conduce solo e tanto il PD, quanto la prossima legge elettorale che potrebbe essere varata entro la fine della legislatura. Sulla base dei primi colloqui tra gli esponenti di PDL, UDC e PD pare che sia emersa la volontà di giungere a un modello proporzionale alla tedesca, ma corretto con un premio di maggioranza per il partito che prende più voti, mentre la soglia di sbarramento dovrebbe essere innalzata almeno al 5%.

Con questo sistema, si farebbero fuori i piccoli partiti, rischiando l’ingresso formazioni come Idv e Sel, mentre i finiani scomparirebbero. La stessa Lega Nord e l’UDC potrebbero subire un ridimensionamento, anche se è inverosimile che Casini voti il suo suicidio.

Le alleanze potrebbero non essere dichiarate prima del voto, con ciascun partito a correre solo per sé stesso, come avviene ovunque nel mondo. Questo consentirebbe ai due partiti più grandi, PDL e PD, di fare una campagna a 360 gradi, evitando la palla al piede di alleati scomodi.

Non è un caso che il segretario del PDL, Angelino Alfano, abbia di fatto archiviato l’alleanza con il Carroccio, affermando che essa sarebbe già ai titoli di coda. Un messaggio inviato anche all’UDC, affinché cessi il suo stare continuamente in bilico e rompa gli indugi. Anche il ritiro della mozione anti-Riccardi va in questa direzione.

 

 

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