Domenica agitata, prima della ripartenza di domani, per i principali protagonisti della scena politico-sindacale, sempre impegnati sullo scontro che ruota intorno alla riforma del lavoro. Il Popolo della Libertà sembra non aver ancora metabolizzato il punto a favore segnato dal Partito Democratico, ottenendo dal governo un iter più lento e ragionato per il pacchetto, ora in forma di disegno di legge e non decreto: “Il ddl deve rimanere inalterato, articolo 18 compreso” fa sapere il capogruppo Pdl alla Camera Fabrizio Cicchitto, l’esatto opposto di quanto dichiara invece la presidente Pd Rosy Bindi, secondo la quale “La riforma non potrà mai essere approvata così, questo articolo 18 rischia di incidere pesantemente nella vita dei lavoratori soprattutto quelli vicini all’età pensionabile, che si è allontanata con la riforma delle pensioni”.
In pratica la richiesta del centrosinistra mira ad affermare il cosiddetto “modello tedesco” (la scelta del giudice tra reintegro ed indennizzo) in tutti casi di licenziamento economico, anche se va sottolineato che nell’ultimissimo testo presentato dall’esecutivo è già contenuto questo principio, ma solo quando il lavoratore durante il giudizio riesca a provare che il motivo economico è pretestuoso e nasconde una discriminazione o comunque un evento di natura disciplinare, più o meno come accaduto nel caso dei licenziati Fiat di Melfi.
Non sarà certo semplice trovare una mediazione ragionevole sull’argomento, se persino sul caso succitato, il Pdl con Maurizio Gasparri trova ancora da ribattere in modo assai infelice: “Noi pensiamo che anche alla luce della sentenza di Melfi la disciplina dell’art.18 vada rivista” mentre il democratico Dario Franceschini corre nella direzione opposta e si ricorda, correttamente, che Mario Monti aveva assicurato che i cambiamenti delle regole non avrebbero alterato i contratti in essere, ma solo quelli dei nuovi assunti, e pretende ora che si rispetti questa impostazione studiando un doppio binario. Tra i litiganti si infila Pier Ferdinando Casini, che molto preoccupato ricorda a tutti l’emergenza economica non ancora terminata, ribadendo i buoni risultati complessivi ottenuti dal governo Monti nell’allontanare l’Italia dal baratro, ed invitando a “stare vicini” all’esecutivo: “Noi siamo impegnati dal mattino alla sera a fare gli sminatori per cercare di andare avanti… ma se si continua così il governo prima o poi entra in crisi sul serio e sarebbe un atto di irresponsabilità allo stato puro“.
Sul fronte sindacale la situazione non è molto più tranquilla, con il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, che ospite alla trasmissione di Rai3 “In mezz’ora” annuncia lo sciopero generale probabilmente per maggio, dopo le elezioni amministrative, e parla di un Mario Monti che a suo dire comincia a scendere nei sondaggi, a causa delle ultime decisioni particolarmente impopolari: “Credo che abbia sbagliato, anche nelle previsioni, ma siccome il presidente del Consiglio è una persona intelligente e attenta a ciò che succede, potrebbe avere la forza di tornare indietro, rispetto alle scelte che ha fatto”.
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Dagli schermi di Rai1 rintuzza poco dopo il leader Cisl, Raffaele Bonanni, che invece non apprezza la chiusura a riccio della sua “collega”, giudicando la riforma sostanzialmente buona anche se da modificare ancora, affinando ulteriormente la normativa sulle distinzioni tra licenziamenti giustificati e quelli pretestuosi: “Tutto è stretto da estremismi che non favoriscono una via d’uscita autorevole e ragionevole. Ho il timore che Camusso abbia la giacca tirata da realtà estremistiche al proprio interno, bisogna far dialogare le parti per trovare una mediazione e una via d’uscita“.