E tsunami fu. Crollano i partiti della maggioranza, boom di Beppe Grillo

Ricordate cosa ci dicevamo un pò tutti prima delle elezioni amministrative di domenica e ieri? Che sarebbe stato un terremoto politico, che sarebbe cambiato molto nel panorama politico nazionale. Ma ad essere sinceri, nessuno davvero si attendeva uno tsunami di queste proporzioni bibliche. Perché passa il fatto che sono sempre dati locali, che la gente vota per il sindaco e i consiglieri comunali, indipendentemente spesso dal loro colore politico. Passa che il momento è quello che è, ma il voto di ieri ha dimostrato che la maggioranza che sostiene il governo Monti è sul punto di estinguersi tra gli elettori.

Il voto non è del tutto omogeneo tra grandi e piccole realtà. In queste ultime, ad esempio, il PDL sembra reggere meglio che nelle grosse realtà urbane. Ma proprio queste sono quelle in cui si evidenzia più il dato politico e per il partito di Angelino Alfano si tratta di una catastrofe senza precedenti.

In città come Genova, Verona, Parma e Palermo, il PDL crolla verticalmente, arrivando fino al miserrimo 5% di Verona e Parma, per non andare oltre il 10% altrove. Su base nazionale, sebbene i dati non fossero ieri sera ancora pronti e definitivi, si parla di un partito tracollato al 14-15% scarso. Un risultato che non può nemmeno essere derubricato sotto la voce “sconfitta”, bensì “in via di estinzione”. I candidati del PDL risultano avere scarsissimo appeal, come dimostra il fatto che un pò ovunque arrivano per ultimi o penultimi. A Palermo, nonostante l’alleanza con l’UDC, Costa non arriva al 13%, contro un 25% circa dei voti complessivi delle liste che lo sostengono. Una debacle, fatta di scelte sbagliate, compiute più con l’occhio della rincorsa ai centristi, i quali a loro volta non esistono più come forza politica, vantando solo la prospettiva del ballottaggio a Genova.

L’unica cosa che possa consolare gli azzurri è che se il loro partito piange e si dispera, gli altri non hanno alcun motivo di ridere. Non il famigerato Terzo Polo, che non è più terzo, ma al massimo quarto. Il suo posto è stato strappato con forza dal Movimento a 5 Stelle di Beppe Grillo, che ottiene un’avanzata spettacolare un pò in tutta Italia, portando al ballottaggio il suo candidato sindaco a Parma, quasi acciuffandolo a Genova, la sua città e ottenendo un riscontro a due cifre anche in città dove hanno stravinto altri, come la Verona del leghista Flavio Tosi. E questi ha contribuito con la sua vittoria ad abbellire il forte ridimensionamento anche della Lega, che esce malconcia dalle urne.

Su scala nazionale, i grillini viaggiano tra il 10 e il 20%, un  risultato che se fosse ottenuto in Parlamento sconvolgerebbe gli equilibri del sistema politico e porrebbe fine alla Seconda Repubblica.

Il PD, che ha ottenuto indubbiamente un risultato molto migliore di quello del PDL, evitando il tracollo verticale, tuttavia, esce ridimensionato in ogni città dove si vota. Da Genova a Palermo, non vincono i suoi candidati, bensì gli “outsider” della sinistra radicale o dipietristi.

Certo, Bersani potrà sempre sostenere di non essere stato travolto dallo tsunami, che ha, invece, fatto quasi scomparire il PDL come partito, ma è indubbio che anche il suo sia rimasto ai minimi termini e di questo passo non potrà aspirare a governare un bel nulla.

Il messaggio delle urne, aldilà dei localismi inevitabili, sembra essere chiarissimo, come forse mai nella storia di questa indegna Seconda Repubblica: vincono solo coloro che appartengono all’opposizione del governo Monti. E’ il caso di Doria a Genova, vicino a Sel di Nichi Vendola; Tosi a Verona, della Lega; Orlando a Palermo, dell’Idv.

I partiti che sostengono Monti hanno ricevuto una batosta clamorosa e messi insieme non raggiungono lontanamente la metà degli elettori. In altri termini, il governo è stato delegittimato pesantemente. Vero è che si votava per altro, ma ricordiamoci che si tratta di un esecutivo tecnico, che non si è mai confrontato con il voto popolare. Per questo, il voto di rabbia e di protesta di ieri non può essere sottaciuto.

Il segretario del PDL, Alfano, in una breve conferenza stampa, convocata alle 19.30 di ieri sera, ha ribadito un concetto: il voto è stato una sconfitta, ma non la catastrofe di cui si parla, che sarebbe limitata alle quattro città in cui si sono tenuti gli exit-poll. Il dato delle altre città, insomma, ridimensionerebbe il tracollo, ma non per questo esso non sarebbe grave.

A un giornalista che gli chiedeva se avesse intenzione di dimettersi, Alfano si è limitato a rispondere che nessuno gliele ha chieste le dimissioni. Invece, potrebbero arrivare già oggi. Magari saranno respinte dal presidente Berlusconi, ma nel partito c’è la consapevolezza che si rischia di scomparire dalla scena politica, se non si reagisce in modo immediato e forte.

Ma cosa fare? Staccare la spina a Monti o no? Il governo non dovrebbe essere messo a rischio, per il semplice fatto che la bufera finanziaria non è un pericolo scampato e, anzi, alla luce di quanto sta accadendo in Grecia, le “locuste della speculazione” potrebbero ripartire più vigorose di prima. La sensazione è che nessuno abbia una risposta pronta. Lo chiarisce Maurizio Gasparri, capogruppo al Senato, che a Porta a Porta evidenzia che se si seguisse la pancia del proprio elettorato, si dovrebbe mandare subito a casa Monti. Ma non sarà così.

 

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