Grecia, Papoulias tenta la carta del governo tecnico

A mezzo giorno di oggi, il capo dello stato greco, Carolos Papoulias, tenterà un ultimo disperato tentativo di trovare un accordo per la formazione di un governo, per evitare di andare alle urne e di trascinare così la Grecia fuori dall’euro. Il presidente ha proposto ieri formalmente ai leader dei partiti un esecutivo tecnico. Per questo, oggi incontrerà tutti i rappresentanti delle formazioni elette in Parlamento, ad esclusione dei neonazisti di Alba Dorata. Fino a ieri sera sembrava che il leader della sinistra radicale di Syriza, Alexis Tsipras, non dovesse partecipare, ma poi è arrivata la conferma della sua presenza, anche se è lo stesso Tsipras a ribadire che dirà no a un esecutivo tecnico.

Il primo a dare il suo assenso al governo proposto da Papoulias è stato il segretario socialista Evangelos Venizelos, il quale ha detto che si andrà verso un esecutivo di tecnocrati.

Si fanno i conti sulla carta e in teoria il governo tecnico potrebbe trovare la fiducia certa di Nuova Democrazia e dei socialisti del Pasok, che insieme fanno 149 seggi su 300. Per arrivare ad avere la maggioranza assoluta, invece, è necessario il coinvolgimento di almeno un altro partito. Per questo ci sono pressioni in corso su Dimar, la sinistra democratica ellenica, nonché su Greci Indipendenti, espulsi da Nuova Democrazia lo scorso febbraio, in quanto si rifiutarono di votare il Memorandum. Dimar conta 19 seggi e porterebbe la maggioranza in Parlamento a 168 seggi, mentre i conservatori indipendenti di seggi ne contano 33. Basterebbe che uno dei due desse il suo assenso e il governo sarebbe fatto. Tuttavia, il leader di Dimar, Foutis Kouvelis, ha posto come condizione per un suo sostegno la partecipazione anche di Syriza, che ha già ampiamente chiarito di andare all’opposizione, forte della sua ascesa nei sondaggi. E lo stesso Kouvelis ha dichiarato ieri sera che un eventuale governo tecnico sarebbe una sconfitta per la politica greca.

Governo. Già, ma per cosa? Perché il nodo è tutto qua. Quanto durerebbe un governo sostenuto da una forza determinante e anti-Memorandum, che entro un mese e mezzo massimo dovrebbe approvare misure di austerità per complessivi 11,5 miliardi? E’ vero che il leader di Greci Indipendenti, Panos Kammenos, ha affermato di appoggiare un esecutivo, solo se necessario per un salvataggio nazionale, ma è altrettanto vero che il giorno seguente non ci sarebbe intesa sul da farsi, perché il partito di Kammenos chiede che si riformi il Memorandum, così come lo chiede con maggiore vigore lo stesso Dimar, che teme, tra l’altro, anche di perdere grossa parte degli elettori in favore di Syriza.

Il clima resta surreale. Il Paese è già con un piede fuori dall’Eurozona, ma vorrebbe fare l’ultimo tentativo per evitare di portare sulle spalle la responsabilità storica di avere innescato un meccanismo di disintegrazione dell’Area Euro.

Ma se ad Atene non si sa bene cosa fare, a Bruxelles non si è da meno. Non lo sa la Germania, che ribadisce i cardini della sua politica di risanamento e chiede ai greci di fare sacrifici per restare nell’euro. Non lo sanno le istituzioni comunitarie mummificate, che hanno mostrato di stare più dalla parte dei tedeschi, anche se nel contempo sperano in un suo ammorbidimento.

La parola che meglio esprime la situazione è “caos”, proprio quanto si è scatenato nelle ultime ore sui mercati finanziari e dei titoli di stato, dove emerge un fuggi fuggi degli investitori, ormai consapevoli che l’addio della Grecia alla moneta unica è questione solo di tempo.

Ieri sera, una riunione dell’Eurogruppo, presieduta dal premier lussemburghese, Jean-Claude Juncker, ha fatto il punto della situazione e lo stesso Juncker ha stigmatizzato il modo minaccioso con cui viene trattata la Grecia, sostenendo che l’ipotesi che esca dall’euro non sia mai stata allo studio. In realtà, il vertice di cinque ore è servito per capire se ci siano spazi di manovra, favorendo così un accordo tra i partiti di Atene.

Come sempre, l’Eurogruppo è stato privo di proposte concrete, se non quella di un auspicio ai greci che portino avanti le riforme, dopo avere ricordato che l’Europa ha già dato ad Atene 148 miliardi.

A questo punto, dovremmo chiederci se davvero conviene che la Grecia riesca nel tentativo di formare un governo tecnico, trascinando la sua agonia fino all’inevitabile morte. Cosa mai sarà in grado di fare un premier tecnico, che non sia già riuscito a fare il predecessore Lucas Papademos? Non esistono margini per soluzioni compromissorie: o si attua il Memorandum o si decide di rinunciare agli aiuti e con essi all’euro. Il pericolo è che lo stallo di Atene prosegua ancora per settimane, devastando i mercati, che saranno lasciati nell’incertezza più assoluta. Per questa ragione, se la Grecia deve fallire e uscire dall’Europa, lo faccia presto. Lo avesse fatto nel maggio del 2010, avremmo risparmiato due anni di agonia e avremmo già affrontato quello che, volenti o nolenti, saremo costretti presto a guardare in faccia.

 

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