Grecia torna al voto e l’Europa trema

Ieri, intorno alle 16.00, dopo quasi tre ore di estenuanti trattative, il presidente Carolos Papoulias è stato costretto a gettare la spugna. Le trattative per formare un nuovo governo sono fallite. La Grecia tornerà al voto. Ci sono già due date in ballo per le nuove elezioni, cioè quelle del 10 o del 17 giugno, ma quest’ultima sembrerebbe la più probabile. In ogni caso, lo sapremo oggi stesso. E così i greci torneranno alle urne dopo poco più di un mese, avendo appena votato per il rinnovo anticipato del loro Vulì, il Parlamento, solo due domeniche fa, lo scorso 6 maggio.

Ieri, alle 13.00, con un’ora di anticipo rispetto all’orario indicato il giorno precedente, il presidente Papoulias aveva radunato tutti i leader di partito, ad eccezione di quello di Alba Dorata, la formazione neonazista.

Ha preso parte all’incontro anche il leader di Syriza, Alexis Tsipras, che i sondaggi accreditano già ben oltre il 20% dei consensi, con la prospettiva di balzare al primo posto tra i partiti ellenici, potendo così conquistare anche 50 seggi in più, per effetto del premio di maggioranza. Ma il giovane leader della sinistra radicale (ha soli 37 anni) aveva già annunciato il suo no a qualsiasi ipotesi di governo tecnico, ribadendo che sarebbe andato all’opposizione. Pertanto, la pressione era tutta rivolta ad altre due formazioni in bilico: la sinistra radicale di Dimar, guidata da Foutis Kouvelis, e i conservatori espulsi da Nuova Democrazia, i Greci Indipendenti, guidati da Panos Kammenos. Ma sin da prima che l’incontro iniziasse era forte lo scetticismo sull’esito delle ultime consultazioni. Infatti, Kouvelis aveva ribadito più volte il suo possibile sostegno a un esecutivo tecnico, a patto che lo sostenesse anche Syriza. Il timore di Dimar, infatti, è che andando al governo, i suoi elettori avrebbero potuto rifugiarsi nelle posizioni più oltranziste di Tsipras, un pò com’è avvenuto a destra, con la scomparsa dal Parlamento del Laos, in favore dei neonazisti.

E lo stesso Pammenos aveva smentito nella prima mattinata di ieri che fosse attribuibile a lui o al suo partito il documento fatto girare nella serata precedente, in cui il leader conservatore si sarebbe detto disposto a sostenere un governo tecnico, nel caso di “pericolo nazionale”, come l’addio all’euro.

Insomma, c’erano tutti gli ingredienti per un fallimento previsto. Gli unici volenterosi di sostenere un governo erano i conservatori di Nuova Democrazia e i socialisti del Pasok. Si direbbe per un maggiore senso di responsabilità. Forse. Ma anche, forse, per il senso di colpa, essendo loro i responsabili bipartisan del disastro istituzionale, finanziario, economico-politico e sociale in cui è sprofondato il Paese. Entrambi i partiti si sono alternati dalla fine del regime dei Colonnelli ad oggi ed entrambi hanno truccato i conti pubblici, sia per entrare nell’euro, sia per restarci. Con l’effetto di creare una voragine di bilancio.

Ad ogni modo, la prospettiva è di un Parlamento ancora più anti-Memorandum, ossia contro le misure di austerità volute dalla UE e che prevedono un ulteriore risanamento per 11,5 miliardi entro il mese di giugno, in assenza del quale non saranno concessi più aiuti.

Il premier uscente, il tecnico Lucas Papademos, che dovrà essere sostituito da qui alle elezioni, come richiede la Costituzione, ha lanciato l’allarme: le casse dello stato detengono solo 2,5 miliardi, in grado di pagare le spese per altre poche settimane. Dopo, il default.

E senza aiuti e senza la possibilità di ricorrere il mercato, la Grecia dovrebbe spendere solo quanto riesce ad incassare, ovviamente dopo avere dichiarato bancarotta. Ma lo scenario che spaventa di più l’Europa è quello del ritorno alla dracma, con l’abbandono ormai quasi certo dell’euro.

Infatti, la vecchia moneta sarebbe svalutata sul mercato tra il 40 e il 70%, scatenando l’assalto alle banche da parte dei risparmiatori, al fine di riscuotere ancora in euro i propri risparmi, a un valore maggiore, rispetto al tasso di cambio già svalutato. Da qui, la necessità del governo di razionare i prelievi, cosa che comporterebbe uno psico-dramma contagioso anche in stati come l’Italia.

L’effetto di un ritorno alla dracma è previsto in un crollo del pil del 20%, in un’inflazione al 20%, senza che sia così scontato che alla fine la Grecia riuscirà ad esportare di più, visto che potrebbe essere contestualmente espulsa dalla UE, con l’innalzamento di barriere doganali nei suoi confronti.

E ieri, il ministro delle Finanze austriaco, Maria Fekter, ha ammonito sul fatto che non sia possibile retrocedere dalla moneta unica, a meno che non si esca fuori dall’Unione Europea, cosa che i Trattati prevedono. Sulla stessa linea sono i tedeschi, che ancora con il loro ministro delle Finanze, Wolfgang Schaeuble, chiedono ad Atene di rispettare i patti, aldilà dell’esito elettorale.

Già da oggi sui mercati si potrebbe scatenare l’inferno, perché l’addio di Atene all’euro sembra ormai l’ipotesi più realistica, come confermano le parole del direttore generale del Fondo Monetario Internazionale, Christine Lagarde, la quale ha comunicato che Washington sarebbe già pronta a ogni scenario, compreso quello dell’abbandono della Grecia dell’Eurozona.

 

 

 

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