Grecia al voto il 17 giugno. Già ritirati 1,2 miliardi di risparmi

In uno scenario da Apocalisse, la Grecia si avvia al voto per il prossimo 17 giugno. Tra un mese esatto, a poco più di 40 giorni dalle urne del 6 maggio, i greci dovranno rinnovare il Parlamento per la terza volta in due anni e mezzo. La data è stata annunciata nella serata di ieri dal capo dello stato, Carolos Papoulias. Egli ha anche nominato il nuovo premier ad interim, ossia il capo del governo che porterà il Paese al voto. Aveva proposto di estendere il mandato all’uscente e tecnicfo Lucas Papademos, ma sul punto ha trovato la ferma opposizione di Syriza, la sinistra radicale ellenica, balzata già al 16,7% alle elezioni di dieci giorni fa e che viene accreditata della vittoria tra un mese. Una mossa elettorale, quella del suo leader Alexis Tsipras, che così vuole mostrare anche nella pura simbologia il suo distacco dal governo tecnico, quello del Memorandum. Non si spiegherebbe altrimenti la scelta di opporsi all’estensione del mandato di Papademos, visto che il governo in carica si deve limitare alla gestione degli affari correnti.

Il nuovo premier, secondo quanto prescrive la Costituzione, è stato individuato nella figura di Panagiotis Pikrammenos, finora presidente del Consiglio di Stato. Ironia della sorte, il suo cognome significa letteralmente “amareggiato”, “addolorato”.

E anche la leader dei comunisti stalinisti di KKE, Alexa Papariga, ha intimato a Pikrammenos di limitarsi solo alla gestione ordinaria, senza decidere con la UE o la Nato su aspetti vincolanti per il popolo greco. Il KKE è un partito comunista duro e puro, che vorrebbe non solo l’uscita dalla Grecia dall’Eurozona, ma anche dalla Nato e dalla UE, affermando la sua indisponibilità a trattare sul punto e a sostenere qualsiasi tipo di governo con altri partiti, anche della stessa sinistra radicale. Ma è stato lo stesso neo-premier, subito dopo il giuramento nelle mani del capo dello stato, a rendere chiaro che il suo compito sarà solo quello di portare il Paese alle urne, nulla di più. Nel caso in cui dovessero verificarsi situazioni straordinarie, egli si consulterebbe con i leader di partito. E forse l’unica situazione eccezionale che potrebbe verificarsi da qui al prossimo mese è proprio la decisione di uscire dall’euro, anche se dovrebbe spettare quasi certamente al nuovo governo. Tranne che il Paese non abbia liquidità sufficiente a pagare le spese ordinarie per le prossime settimane, ragion per cui si dovrebbe dichiarare il default.

Insomma, sullo sfondo lo scenario è cupo. Lo hanno capito nitidamente i risparmiatori greci, che tra lunedì e martedì hanno già ritirato dai loro conti corrente ben 1,2 miliardi di euro, pari allo 0,75% dei 170 miliardi complessivi di depositi.

Stando alle dichiarazioni di due sere fa del governatore della banca centrale greca, George Provopoulos, non ci sarebbe ancora un clima di panico tra i correntisti, bensì una paura, che potrebbe sfociare presto in panico.

La ragione essenziale dei timori dei greci sta nella previsione di un ritorno alla dracma e nella sua immediata svalutazione fino al 70%. Tuttavia, ha contribuito negativamente anche la proposta di Syriza di utilizzare i depositi bancari per fare sviluppo. Un’idea strampalata e suicida, che è stata poi prontamente ritirata, ma che ha incrementato le paure dei greci.

E Syriza dovrebbe essere il partito che uscirà vincitore alle prossime elezioni politiche, dopo essere già balzato al 16,7%, diventando il partito di riferimento per tutta la sinistra, a discapito dello storico partito socialista del Pasok. Stando ai sondaggi, la formazione guidata da Alexis Tsipras potrebbe ottenere anche oltre il 30% dei consensi, cosa che potrebbe, addirittura, consegnargli la maggioranza assoluta dei seggi, per via del premio di maggioranza di 50 deputati, previsto dalla legge elettorale.

Sono, invece, drammatiche le cifre sull’economia ellenica. Il pil del trimo trimestre è crollato ancora una volta del 6,2% su base annua, mentre un giovane su due non ha lavoro e il tasso di disoccupazione sfiora il 20%. In soli cinque anni, il Paese ha perso un quinto della sua ricchezza e le previsioni per il futuro prossimo sono terrificanti. Nel solo 2011, il numero dei greci che ha preso il volo per la Germania è cresciuto del 90%, mentre in tre anni sono scesi di 70 miliardi i depositi presso le banche greche.

E’ chiaro che il voto di giugno sarà un referendum pro o contro l’euro e malgrado l’80% dei greci vorrebbe restare nell’Eurozona, forse più per paura dell’ignoto, tutti i sondaggi assegnano un’avanzata ancora più forte per i partiti anti-Memorandum, ossia contrari alle nuove misure di austerità chieste dalla Troika (UE, BCE e FMI).

Entro giugno dovrebbero essere votati tagli e/o aumenti di imposte per 11,5 miliardi. Difficile che qualsiasi maggioranza che si formerà in Parlamento riuscirà nell’impresa, sia per la mancanza di un denominatore comune tra i partiti, sia anche per la reazione della piazza.

Il destino della Grecia sembra segnato e gli appelli continui di Bruxelles e della Germania a rispettare i patti potrebbero avere l’effetto controproducente di spingere gli elettori a dare un voto di protesta.

 

 

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