Piano UE per fuoriuscita da euro della Grecia. Berlino conferma

La situazione starebbe accelerando a grandi passi nell’Unione Monetaria. Mentre gli otto capi di stato e di governo degli altrettanti Paesi più industrializzati al mondo sono riuniti negli USA a Camp David, per il consueto G8, il commissario europeo al commercio, l’olandese Karel De Gucht, intervistato da un quotidiano fiammingo, De Standaard, ha affermato che la UE sarebbe pronta ad affrontare una situazione di emergenza, come l’uscita della Grecia dall’Eurozona, dopo avere ricordato il sostegno ad Atene negli ultimi due anni. Tuttavia, a stretto giro arriva la smentita ufficiale della Commissione, la quale dichiara che non ci sarebbe in atto alcun piano, che preveda la fuoriuscita dei greci dall’euro. Parole, che sembrano cozzare fortemente con quelle del suo stesso commissario, ma anche con le politicamente più importanti di Berlino. Un portavoce del ministro delle Finanze tedesco, Wolfang Schaeuble, ha dichiarato che la Germania vorrebbe sì che la Grecia rimanesse nell’Area Euro, ma che al contempo è un dovere nei confronti dei cittadini tedeschi approntare un piano che affronti lo scenario dell’addio di Atene all’Eurozona.

E alcune indiscrezioni vorrebbero che il cancelliere Angela Merkel abbia chiamato il capo dello stato greco, Karolos Papoulias, per sollecitarlo a mettere su quanto prima un governo nel pieno delle sue funzioni, con l’interlocutore che avrebbe rassicurato di informare il premier facente funzioni. Pare che la Merkel abbia intimato a Papoulias un duro aut aut: o dentro o fuori l’Euro.

C’è forte preoccupazione nella UE, dopo l’ennesimo declassamento del rating sovrano ellenico da parte di Fitch, ieri sera, che ha portato il giudizio sui titoli pubblici greci da B- a CCC, ossia appena un livello più alto di D, che indica il Default. L’agenzia sostiene che il “downgrade” sarebbe dovuto a un rischio esacerbato di vedere la Grecia fuori dall’Eurozona, così come vicina al punto di default. Molto dipende, spiega la nota dell’agenzia, dall’esito delle elezioni del 17 giugno, perché se dovessero prevalere le forze anti-Memorandum, sarebbe molto probabile l’addio di Atene alla moneta unica.

E nell’Unione Europea c’è molta apprensione per quello che viene definito l’effetto contagio. Preoccupa particolarmente la situazione della Spagna, dove molti risparmiatori si sono messi in fila da giorni davanti agli sportelli della neo-nazionalizzata Bankia, per ritirare oltre un miliardo di euro di depositi. Il governo minimizza, parlando di trend consueto in questo periodo dell’anno, ma fa notizia che ciò accade, mentre sta avvenendo la stessa cosa in Grecia, con 1,5 miliardi di depositi ritirati nei soli primi tre giorni della settimana.

Inoltre, l’agenzia Moody’s ha declassato tra ieri e oggi ben 16 banche iberiche e il rating delle regioni spagnole, visto che l’istituto ritiene che queste non siano in grado di assolvere gli obblighi di risanamento loro assegnati, per via dell’altissimo livello di disoccupazione, per la profonda recessione in atto e per il crollo dei prezzi immobiliari.

Quindi, la Spagna preoccupa tanto, anche perché ha dimensioni economiche quattro volte superiori a quelle della Grecia. Troppo grande per essere salvata. Figuriamoci l’Italia, con i suoi 1.900 miliardi e rotti di debito pubblico.

Per questo, prima che la Grecia travolga tutto il resto dell’Eurozona, la Merkel la vorrebbe fuori dall’Unione Europea. Non sembra più disponibile a trattare con quello che i tedeschi considerano un caso perso.

Tuttavia, le valutazioni divergono proprio sul dopo. Perché se ormai tutti stanno realizzando che Atene è sul punto di tornare alla dracma, i Paesi più esposti alla crisi del debito, come Spagna e Italia, temono che ciò porti a un disordine tale, da mettere a rischio pure la loro permanenza nella moneta unica. Berlino, al contrario, sostiene che ci sarebbero gli strumenti per impedire il crollo dell’impalcatura ed esclude ripercussioni nefaste sull’Eurozona.

E continua, così, la crisi dei bond sovrani, con lo spread decennale tra i BTp italiani e i Bund tedeschi, che in apertura segnava oltre 460 punti base, per poi rientrare sotto i 440 bp, ma restando a livelli non sostenibili nel medio termine. Questo, mentre il tedesco Schaeuble ha pronosticato che le tensioni sui mercati dei titoli di stato potrebbero durare altri 12-24 mesi. Un altro biennio in balia di questi rendimenti e sarebbe inevitabile il ricorso a una dura manovra restrittiva dei conti, dato che solo quest’anno l’Italia emetterà complessivamente 450 miliardi di euro, di cui già 170 miliardi emessi. In sostanza, l’1% medio in più su questo debito sarà pari a 3,6 miliardi di euro netti in più da corrispondere agli investitori, pari allo 0,2% del pil, a cui si aggiungerebbe l’aggravio del 2013, se dovessero perdurare questi andamenti.

Vista da fuori, la situazione europea sembra indescrivibile. Oggi, il premier inglese David Cameron ha dato il suo consiglio ai partner dell’Eurozona: make up or break up! Mettetevi d’accordo o dividetevi!

Non stupisce, quindi, che in questo clima plumbeo, Piazza Affari sia scesa ai minimi del 2009, sotto i 13.000 punti. E non potrebbe essere altrimenti con una produzione industriale in picchiata a marzo su base annua e ferma sul mese precedente. E il peggio deve arrivare!

 

 

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