Trionfo di Grillo e disastro PDL. Alfano non minimizzi

La vittoria a Parma era un pò nell’aria, da quando nella tarda serata di domenica i dati dell’affluenza ai seggi dicevano che sostanzialmente su base nazionale era andato a votare alle ore 19.00 il 27,7% degli elettori, mentre a Parma la percentuale saliva di 10 punti esatti. Alla fine, il distacco positivo è stato di sette punti. Ed era chiaro che a fare la differenza era la mobilitazione per l’inedito ballottaggio tra un esponente della sinistra e uno del Movimento 5 Stelle, il grillino Federico Pizzarotti. Ma diciamoci la verità, erano davvero in pochi ad attendersi che il candidato di Beppe Grillo avrebbe stravinto con una percentuale così netta (60,2% contro il 39,8%), umiliando il presidente della provincia di Parma, il candidato del centro-sinistra, Vincenzo Bernazzoli.

Il PD esce malconcio da questa tornata e ché ne dica il suo segretario Bersani, che può gioire solo dello squagliamento del centro-destra, il partito esce sconfitto in tutti gli appuntamenti più importanti. Perde a Parma, contro il signor Nessuno, ma dalle dichiarazioni dello sconfitto Bernazzoli si evince il motivo della disfatta: “Non abbiamo nulla da rimproverarci”. No? La città è stata devastata da un’amministrazione di centro-destra, che ha lasciato un buco da 600 milioni di euro. In teoria, il PD avrebbe dovuto stravincere le elezioni in città, senza nemmeno tenere un comizio, tanto era lo squallore lasciato dalla maggioranza uscente. Invece, non solo perde, ma lo fa contro uno che ha speso appena 8000 euro e che nessuno conosceva prima della candidatura a sindaco.

Ma il partito di Pierluigi Bersani perde nettamente anche a Palermo, dove il suo Fabrizio Ferrandelli porta a casa un asfittico 27,7%, mentre l'”usato sicuro” Leoluca Orlando ottiene il 72,3%. Tanto che Geppy Cucciari su La7 dirà che Orlando ha preso così tanti voti, che dovrà fare il sindaco anche a Trapani. E anche a Palermo si usciva da 10 anni di amministrazione del PDL non esattamente esaltanti. Infine, Genova. Il PD ufficialmente vince, ma il diavolo sta spesso nei dettagli. Vince, ma con il candidato degli altri. Perché Doria è uomo di Sel e ha vinto le primarie contro ben due esponenti del PD. Insomma, Bersani può fingere di sorridere, quando schiera candidati vincenti di Sel e dell’Idv, ma mai con uomini propri. Segno che gli elettori della sinistra hanno sfiduciato ampiamente tutti i dirigenti del PD, che in effetti ieri non rideva, ma si limitava ad osservare che almeno loro esistono, mentre il PDL…

Già, il PDL. Vi ricordate? Ieri, in via dell’Umiltà non c’era nemmeno una sala stampa allestita per i giornalisti. Nella storia della Repubblica, prima e seconda, non era mai successo che un partito neppure si confrontasse con i dati, consapevole di una disfatta clamorosa e molto, molto imbarazzante.

Se di strategia mediatica si è trattato, è stata una pessima strategia, perché oltre ad avere stra-perso ovunque, Alfano ha dato ai suoi stessi e pochi elettori un’immagine di disinteresse e inesistenza politica, che dovrebbero fare saltare dalla sedia anche il peggiore e il più periferico consigliere comunale del suo partito.

Uscirsene con una dichiarazione per cui gli elettori del centro-destra vorrebbero una nuova offerta politica è quanto di peggio avesse potuto fare Angelino. Non perché sia sbagliata, ma perché attiene a una fase di analisi e, invece, evita la presa di coscienza pubblica che il PDL non esiste più e per sola sua colpa.

Il partito si è sfarinato, ha corso senza alleati, pur sapendo di non avere alcuna consistenza autonoma, lasciando a Grillo la posizione di contendente della sinistra. Se uno straniero poco accorto delle cose italiche ieri fosse venuto nel nostro Paese e avesse guardato la TV, avrebbe avuto l’idea che in Italia esiste un centro-sinistra in difficoltà e contro di esso un movimento di un certo Beppe Grillo. Ma non avrebbe mai immaginato che la coalizione avversaria si chiama, invece, PDL, Lega, Terzo Polo. Inesistenti. Tutti.

Per la Lega ieri è suonato il de profundis e le possibilità di una riscossa sono minime. Con la morte politica di Bossi, scompare parimenti parte consistente dell’elettorato leghista. Perdere sette ballottaggi su sette sarebbe motivo di disperazione per via Bellerio. Li avesse tenuti in Calabria, avrebbe avuto maggiori chance di prendere qualche sindaco, anche solo per la statistica.

Il responso di ieri è nitidissimo e il segretario Angelino Alfano dovrebbe prenderne atto: gli elettori del PDL non vogliono Monti e il suo governo delle tasse. Ovviamente, il partito non potrà staccare la spina, perché costretto a rincorrere il “giovane” Beppe Pisanu o un Claudio Scajola di turno, smarrendo nel frattempo tutti gli elettori.

Si dirà che non sarebbe responsabile abbandonare il governo, esponendo l’Italia alle “locuste della speculazione”. Vero. Ma non puoi pensare di dissanguare gli italiani, poi andare in TV a lamentarti di quanto schifo faccia il governo e pensare che ti votino per la simpatia. Il tempo delle chiacchiere è passato. Se Alfano non sa fare il leader, per il quale ha già dimostrato di non avere il “quid”, allora lasci, prima che il partito arrivi allo 0%.

 

 

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