Polveriera euro. Volano spread e crollano borse

Borse a picco e spread in impennata. Questa è la fotografia delle ultime sedute e, in particolare, di quella di ieri, quando Francoforte ha chiuso con un crollo del 3,42%, conquistando la poco ambita maglia nera della giornata. Un segnale inquietante, perché sarebbe la dimostrazione che la sfiducia dei mercati avrebbe già raggiunto il cuore dell’Eurozona, proprio quella Germania che sta facendo da qualche anno il bello e il cattivo tempo dell’Area Euro. Una sfiducia che riguarderebbe niente di meno che la stessa sopravvivenza della moneta unica, in queste settimane a rischio come non mai. Siamo seduti su una polveriera, che rischia di esplodere da un momento all’altro dalla Grecia alla Spagna, passando anche per Roma. Sono tanti i segnali che vanno nella direzione di una disintegrazione dell’Eurozona. Ieri, lo spread decennale tra i nostri BTp e i Bund tedeschi è esploso fino a 492 punti, per poi chiudere a 457 pb. Molto peggio hanno fatto i Bonos, il cui differenziale è letteralmente volato a 536 punti base. In sostanza, Madrid sta sugli stessi livelli di allarme delle sedute che portarono alla caduta del governo Berlusconi, agli inizi di novembre del 2011.

C’è grande preoccupazione per quanto sta accadendo in Spagna, dove i risparmiatori hanno smobilitato in soli cinque mesi ben 100 miliardi di euro, portandoli all’estero, seguendo quanto già sta avvenendo da due anni in Grecia, con un’intensificazione nelle ultime settimane.

Non esiste il minimo conforto dai dati dell’economia reale. Disoccupazione alle stelle, Italia inclusa. Nel nostro Paese, un giovane su tre è senza lavoro, mentre la Grecia ha superato ufficialmente il dato drammatico di Madrid sull’occupazione, con un quarto dei suoi lavoratori senza un impiego. Chiunque vinca, nessuno sarà in grado di attuare realmente le misure di austerità, previste dal Memorandum. La piazza di Atene esploderebbe e il rischio di uno scontro civile sanguinoso non è un’ipotesi, ma un triste presagio. E i sondaggi sembrerebbero confermare proprio la netta avanzata della sinistra radicale di Syriza, guidata dal giovane Alexis Tsipras, il quale ieri è stato molto più chiaro di quanto non lo fosse stato prima: in caso di vittoria, niente misure di austerità; il Memorandum sarà annullato e si tasseranno di più i ricchi. Detto in altri termini: la Grecia uscirebbe dall’euro, malgrado non sia volontà nemmeno di Tsipras fare ciò, ma per il semplice fatto che la UE bloccherebbe immediatamente i nuovi aiuti e il Paese andrebbe in default questo stesso mese. Un’apocalisse finanziaria ed economica, che tutti cercano di spiegare e prevedere, ma che nessuno realmente sa quali contorni tragici potrebbe avere anche fuori dalla Grecia.

In questo contesto di enorme sfiducia da parte di famiglie, imprese e mercati, ieri è suonata come clamorosa la proposta dell’ex premier Silvio Berlusconi di fare stampare euro alla Banca d’Italia, chiarendo che o la Germania accetta un compromesso, oppure l’Italia potrebbe dire addio all’euro. O viceversa, potrebbe essere la Germania ad essere invitata ad uscire.

Quale che sia la posizione di ciascuno, è evidente che le stesse dichiarazioni sono frutto di un clima di disintegrazione, che potrebbe riversarsi piuttosto amaramente tra due giorni, quando i mercati riapriranno sconfortati, dopo la pausa del fine settimana.

E’ andato dritto nel dimenticatoio ieri il risultato del referendum in Irlanda sul Fiscal Compact, con il 60,3% degli elettori che si sono espressi in favore. In teoria, avrebbe dovuto fare da tonificante almeno per qualche ora, ma la crisi di cui soffriamo è così grave che un voto del genere è stato completamente ignorato dagli investitori.

Unica e magrissima consolazione è che questi chiari di luna stanno spingendo al ribasso il prezzo del greggio. Ieri, il Brent europeo ha chiuso a 98,43$, ossia il livello più basso dal mese di gennaio del 2011. Sotto la soglia dei 100 dollari, che l’Arabia Saudita ha giudicato da tempo essere il prezzo di riferimento per il suo oro nero. Se la tendenza si consolidasse, ciò contribuirebbe a raffreddare i prezzi e a dare una spinta, seppur minima, alla domanda e alla stessa produzione.

Ma quanto accaduto ieri ci suggerisce che adesso trema anche Berlino. La sua economia ha rallentato di molto il passo e nel primo trimestre dell’anno, le sue esportazioni verso gli stati del Sud Europa sono crollate del 14%, per effetto della crisi che attanaglia questi ultimi. E le previsioni sul manifatturiero nel secondo trimestre non sono affatto incoraggianti, per cui anche i tedeschi potrebbero già avere iniziato ad avvertire la morsa della crisi, che dalle periferie si è espansa al cuore del motore produttivo europeo.

Non per questo sarà più facile arrivare a un accordo tra Berlino e il resto dell’Eurozona. In questi giorni, il governatore della BCE, Mario Draghi, ha cercato di convincere il governo di Angela Merkel ad accrescere il fondo salva-stati, mentre allo stesso tempo avrebbe forse voluto anche espandere il piano di sostegno degli acquisti dei bond semi-periferici, riscontrando il duro “nein” dei tedeschi. La crisi è solo destinata a peggiorare e i mercati hanno capito una volta per tutte che l’Europa è senza guida politica.

 

 

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