Anche l’Unione Europea contro l’Imu: “Necessita modifiche”

L’Imu non è una tassa equa, in quanto manchevole di progressività: non si tratta stavolta dell’ennesima trovata estemporanea di politici in campagna elettorale, bensì della conclusione del “Rapporto Ue 2012 su Occupazione e sviluppi sociali”, che all’attuale Imposta Municipale Unica preferisce la vecchia Imposta Comunale sugli Immobili (Ici) in quanto meno “aggressiva” con la popolazione.

Nel rapporto di Bruxelles si legge come l’Imu sia stata anticipata al 2012 anche in seguito alle raccomandazioni della Ue sulla riduzione delle agevolazioni per le abitazioni e basandosi su di un “effetto distorsivo relativamente basso delle tasse sulla proprietà e il basso tasso di evasione”.

Pur riconoscendovi “alcuni aspetti di equità”, come i 200 euro di abbattimento per la prima casa, le deduzioni supplementari in caso di figli a carico e la differenziazione sull’entità dell’imposizione tra prima e seconda casa, la Commissione ritiene che ci potrebbero essere molti altri aspetti da migliorare per “aumentarne la progressività”.
Il suggerimento esplicito è di procedere quanto prima ad un aggiornamento reale (e non unico stimato del 60%) dei valori catastali degli immobili, e di introdurre nuovi tipi di deduzioni, insieme ad una migliore “definizione di abitazione principale e secondaria”. La Ue insiste tuttavia nel dire che le “simulazioni” effettuate in materia determinerebbero che “le tasse sulla proprietà non hanno impatto sulla diseguaglianza in Estonia e in Italia, e sembrano aumentare leggermente la povertà in Italia“.

In verità il Parlamento italiano aveva di recente provato (durante la discussione sulla delega fiscale) ad introdurre variazioni per le fasce svantaggiate della popolazione, ma il percorso legislativo era saltato all’ultimo momento, a causa della chiusura prematura dell’esperienza del governo Monti.

A causa della mancanza di criteri fissati a livello centrale, secondo una analisi dei Centri di Assistenza Fiscale (Caf) è successo che gli enti locali “non hanno adottato lo strumento delle detrazioni quale possibile mezzo di governance dell’imposta”. Sui circa 8.000 Comuni italiani, infatti, solo 17 hanno deliberato una maggiore detrazione collegandola ai redditi risultanti dagli Isee, 48 hanno deliberato in favore di situazioni legate alla composizione del nucleo familiare o dell’ubicazione degli immobili e 79 hanno deciso detrazioni per la presenza di invalidi nel nucleo familiare.

Un quadro piuttosto complesso che fa emergere diffuse responsabilità e che sarebbe ingiusto ridurre alla solita cantilena “è stato Monti”. Chi oggi spara a zero sul passato Esecutivo, non di rado proviene dalle stesse “cabine di regia” che hanno regalato agli italiani un anno pesantissimo dal punto di vista fiscale, e spera che nella confusione della campagna elettorale non ci si faccia più caso.

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