Imprese italiane e pressione fiscale: come sta l’Italia

In questi giorni, come ormai da due anni a questa parte, il tema del fisco assume molta rilevanza, sia per le nuove tasse che i cittadini hanno dovuto pagare per far scendere al di sotto del 3 % il rapporto deficit/Pil, sia per l’onere fiscale che grava sulle imprese italiane. Secondo Confcommercio, la pressione fiscale effettiva è 54% del Pil; questo significa che ogni lavoratore  spende il 54% del suo reddito nelle casse dello Stato per pagare le imposte rimanendo soltanto con il 44% del reddito per vivere e affrontare le spese di sussistenza. Una vera e propria zavorra per l’economia nostrana.

Perchè si pagano tutte queste tasse in Italia?

Incide sicuramente la politica economica di austerità dettata dall’Unione Europea che ha imposto ai cosiddetti paesi Piigs, (acronimo di Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna), cioè i paesi “maiali” che avrebbero sprecato denaro pubblico in investimenti dannosi per la propria economia, indebitandosi sempre di più. Come ridurre la montagna di debito pubblico in maniera tempestiva per garantire il pareggio di bilancio? Semplice, aumentando le tasse; questo però porta a una drastica riduzione dei consumi, degli investimenti e peggio ancora ad una recessione economica.

Il Total Tax Rate tocca il 68,5%

In materia di tasse sulle imprese, l’Italia appare ancora ben lontana dall’Europa e dal resto del mondo. Secondo Confartigianato, siamo primi in Europa e tredicesimi nel mondo. Un’altra indagine Confindustria-Deloitte registra invece un Effective Tax Rate (pressione fiscale rispetto all’ imponibile) al 58%, ben più alto di quello di partner europei come Germania (43%), Regno Unito (40%) o Spagna (29%). Per quanto riguarda il Total Tax Rate (pressione fiscale sulle imprese) raggiunge il 68,5% del reddito d’impresa (dati Banca Mondiale). La media europea e quella mondiale si aggirano intorno al 45%. In Germania la percentuale è al 46,7%, in Spagna al 38,7% e nel Regno Unito al 37,3%.

Il tallone d’Achille delle aziende italiane

Il tallone d’Achille delle imprese italiane è quello del costo del lavoro, cioè l’indicatore di breve periodo che indica il costo orario del lavoro sostenuto dai datori di lavoro. I costi di lavoro sono costituiti dai costi per i salari e gli stipendi più i costi non salariali come i contributi sociali a carico del datore di lavoro. Se le componenti aumentano, il costo del lavoro aumenta anch’esso: è chiaro quindi che un aumento delle imposte, così come aggiungerne di nuove, porti ad un aumento del costo del lavoro. Un lavoratore costa ad un imprenditore più del 53% del suo stipendio, un vero e proprio salasso per le aziende italiane.

Una situazione drammatica

Una situazione drammatica è quella che stanno attraversando in questo periodo gli imprenditori italiani; in un contesto del genere dove la domanda aggregata di beni e di conseguenza la produzione sono crollate, è più facile licenziare che assumere nuovi lavoratori. Negli ultimi giorni questo tema è oggetto di analisi del Governo Letta per cercare di fare approvare quanto prima possibile una riforma fiscale del lavoro con l’obiettivo di diminuire la pressione fiscale, diminuire il costo del lavoro e combattere la disoccupazione, soprattutto quella giovanile. Abbiamo bisogno di politiche di stimolo della domanda che ci facciano tornare a crescere, che ci facciano tornare ad essere competitivi, che ci facciano tornare ad essere Italia.

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