Bankitalia: stime del Pil al ribasso

La ripresa dell’economia italiana è sottoposta ad una girandola di numeri tra loro poco allineati, infatti dopo i dati diramati dal Fondo monetario internazionale, anche Bankitalia rivede al ribasso le stime del Pil, che nel 2013 dovrebbe contrarsi dell’1,9% e non dell’1% come stimato a gennaio scorso, per poi tornare a crescere “a ritmi moderati” nel 2014 con un +0,7%. “Ma sui tempi e sull’intensità della ripresa gravano i rischi di aumenti degli spread sui titoli di Stato”, avverte il bollettino.

Bankitalia loda le politiche di risanamento attuate dal Governo Monti: “Le manovre correttive di finanza pubblica approvate nella seconda metà del 2011 hanno consentito all’Italia di uscire dalla Procedura per i disavanzi eccessivi avviata nel 2009”, afferma il report, chiarendo che secondo le sue previsioni “il rapporto tra l’indebitamento netto e il Pil rimarrebbe pressoché stabile nell’anno in corso, risentendo per circa mezzo punto percentuale degli esborsi associati al pagamento dei debiti commerciali delle Pubbliche Amministrazioni.”

Bankitalia continua sottolineando il valore incoraggiante dell’andamento nell’ultimo periodo del Pil italiano, che “sarebbe diminuito nel secondo trimestre meno intensamente che nel primo”, con una “possibile stabilizzazione” degli investimenti e una produzione industriale che “avrebbe smesso di ridursi negli ultimi mesi”. Il tutto aspettando l’atteso miglioramento previsto per il 2014, infatti si ipotizza, nel corso del prossimo anno, un rafforzamento graduale tramite un moderato recupero degli investimenti produttivi e all’accelerazione degli scambi con l’estero, che riprenderebbero a crescere ai ritmi medi registrati nel decennio pre-crisi.
Lo scenario prevede che gli investimenti siano favoriti dal miglioramento delle condizioni di liquidità delle imprese, associato agli effetti del rimborso dei debiti delle Amministrazioni pubbliche, e, in misura più contenuta, dagli ulteriori provvedimenti adottati dal Governo alla fine di giugno a sostegno della crescita. Secondo le valutazioni di Bankitalia, il provvedimento sui debiti commerciali delle Amministrazioni pubbliche, nell’ipotesi di una sua efficace attuazione, potrebbe contribuire alla crescita del prodotto per circa 0,1 punti percentuali quest’anno e 0,5 il prossimo.

Analizziamo alcune componenti del sistema economico, partendo proprio dai consumi. Nel primo trimestre del 2013 i consumi privati sono diminuiti dello 0,5 per cento rispetto al quarto del 2012. Per la precisione evidenziamo una lieve flessione della spesa per servizi ed un calo degli acquisti di beni. Nello periodo in oggetto il reddito disponibile delle famiglie ha segnato il primo modesto incremento congiunturale dalla fine del 2010. La propensione al risparmio, nella media degli ultimi quattro trimestri, è stata pari all’8,5 per cento, in lieve rialzo nel confronto con i minimi raggiunti nel corso del 2012.

In relazione al mercato del lavoro, che comunemente reagisce con ritardo alla dinamica dell’attività produttiva, si “continuerebbero a deteriorarsi, mostrando una timida ripresa solo nella seconda metà del 2014″. Il tasso di disoccupazione è cresciuto mediamente di 0,2 punti percentuali rispetto al primo bimestre del 2013, sospinto soprattutto da un’ulteriore flessione dell’occupazione, raggiungendo in maggio il 12,2 per cento, e potrebbe sfiorare il 13 per cento nel corso del prossimo biennio. Mentre il numero di occupati diminuirebbe di circa l’1,5 per cento.
Per il 2013 possiamo però dire con un certo margine di sicurezza che l’Italia rappresenta la pecora nera dei paesi del G7 (vedi Tabella 1), così come nel 2012.

Tabella 1

Tabella 1

Esiste una notevole divergenza tra le previsioni dell’Ocse (Tabella 2 – Interim Projections) rispetto ai valori esposti dal super-indice dell’Italia che mostra il seguente andamento che è piuttosto incoraggiante.

Tabella 2

Tabella 2

Infatti il suo valore supera il livello di 100 a cavallo dei primi due trimestri, il che ci porta a pensare che ci sarà un aumento del PIL nei prossimi 6 mesi con un evidente inversione di tendenza.
L’opinione pubblica quindi viene sommersa da una serie di dati in parte contrastanti che poi sono utilizzati dal politico di turno in base alle propri interessi,sarebbe meglio avere meno indici, anche più comprensibili, per ottenere un dibattito pubblico più efficace e veritiero.

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