Provenzano fa ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo

Gli avvocati del boss Bernando Provenzano, conosciuto a Corleone come Binnu o tratturi, hanno presentato ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo per sentire condannato il governo italiano per il trattamento carcerario inumano, che al loro dire, starebbe subendo il loro assistito.

Il boss si trova dal 2006 sottoposto, prima presso la casa circondariale di Novara e poi di Parma, al regime del 41-bis, nonostante le sue gravissime condizioni di salute. Per di più, si richiede la riparazione dei danni patrimoniali e morali subiti dal loro assistito. Nelle 37 pagine del ricorso viene citata la perizia del gip di Palermo del 9 settembre, che esclude la possibilità di relazionarsi con il mondo esterno da parte del capofamiglia corleonese, sollecitando indirettamente un intervento del Tribunale del riesame di Bologna, che recentemente aveva stabilito la prosecuzione del trattamento carcerario a regime di 41-bis, essendo Provenzano soggetto ancora pericoloso e abile simulatore.

Contrariamente, nel ricorso viene contestata la violazione dell’ articolo 3 della Convenzione dei diritti dell’ Uomo, che vieta trattamenti unumani e degradanti. Secondo i legali, il fatto che la pena continui ad essere scontata in carcere comporta una lesione del diritto fondamentale alla salute e la violazione dei diritti umani garantiti dalla Convenzione. Sempre nel ricorso si legge che non si comprende quale pericolosità sia ravvisabile in un soggetto, sebbene con un vissuto criminale intenso, ridotto quasi in fin di vita. Tante le patologie che affliggerebbero Provenzano: una parkinsoniana rigido-acinetica di grado severo, patologie attinenti l’apparato tiroideo, encefalico e urinario. La Corte ha già fatto sapere ai due legali di aver chiesto alle autorità italiane di voler conoscere entro il 15 ottobre le attuali condizioni di salute del detenuto.

Che il boss abbia da sempre avuto a cuore il suo stato di salute, lo potrebbe confermare, se fosse ancora vivo, l’urologo Attilio Manca, che lo operò a Marsiglia nel 2003 alla prostata. Sfortunatamente, qualche mese dopo fu trovato privo di vita nella sua casa di Viterbo per overdose. Aveva il setto nasale rotto e fori di siringa nel braccio destro. Peccato che non fosse mancino.

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