Generazione di plastica: il ritratto dei giovani alla ricerca della bellezza [FOTO]

In My Skin” non è solo un progetto fotografico, è una denuncia, una luce che mette in chiaro un fenomeno dalle tinte forti che non si conosce forse fino in fondo: il disagio giovanile nel vestire i propri panni e che trova la panacea nel ricorso al cambiamento della propria fisicità. Dal ritocco estetico più soft – un tatuaggio alle sopracciglia o le extension per allungare i capelli – all’intervento più serio – una liposuzione o una mastoplastica – i giovani danno peso all’estetica oggi più di ieri, e quando non vengono assecondati nel coronamento del loro sogno – un corpo diverso – manifestano un disagio dai risvolti più svariati e talvolta autolesivo.

La fotografa sudafricana ha immortalato giovani inglesi under25 direttamente nelle loro camere. Non erano felici del loro aspetto e lo hanno cambiato: ricoprendo il corpo di tatuaggi, o gonfiandolo in palestra, o ritoccandolo chirurgicamente. Tra gli interventi “fotografati” troviamo anche il “cambio di genere”: il passaggio dal genere femminile al maschile o viceversa attraverso cure ormonali ed operazioni chirurgiche per il cambiamento del sesso è certamente l’espressione della massima forma di disagio fisico e psicologico. Quando questo è supportato da terapia psicologica e nasconde un disagio profondo, cambiare la propria pelle – in questo caso radicalmente – per stare bene diventa una necessità. Ma non è sempre così estrema la causa che porta a riversarsi sulla chirurgia estetica o sull’alterazione del proprio aspetto per sembrare diversi da come si è.

Michelle Sank dichiara:”Sono andata alla ricerca di coloro che inseguono la ‘bellezza” riconosciuta attualmente dalle società occidentali, fondata su un fisico e un volto ‘perfetti’. Ma ho anche provato a documentare la vita dei giovanissimi transgender che cercano di liberarsi di un corpo in cui non si riconoscono“.

Se lo specchio diventa il nemico e la “Sindrome di Grimilde” prende il dominio della propria psiche, il disprezzo del proprio corpo assume contorni ben più seri quando si parla di dismorfofobia – l’incapacità ad accettarsi in presenza di effetti reali o immaginari – che prende piede dall’infanzia alla prima giovinezza, con la risultante di gettare i soggetti giovani più vulnerabili nel tunnel della ricerca spasmodica della perfezione.

Liberarsi di un corpo a cui si sente di non appartenere; inseguire una bellezza artificiale; assomigliare a chi è acclamato dai media; nascondere la propria insicurezza dietro ad un’apparente perfezione; inseguire il bello per colmare i vuoti dell’animo: queste tra le ragioni che spingono a cambiare la propria fisicità per piacersi di più. Ma è di superficialità che andrebbero additati i giovani d’oggi di cui la Sank offre uno spaccato? Solo di superficialità o c’è dell’altro? La colpa è di chi soffre e cerca il rimedio apparentemente più semplice per placare il suo disagio o talvolta la colpa sta in chi il disagio lo scatena e di chi sta silente a guardare mentre questo si insinua in profondità, fino ad incancrenirsi?

Se la Sank entrasse nelle case di altri Paesi, dall’Europa all’America e perfino all’Asia, troverebbe una realtà non così dissimile da quella britannica. La ricerca della bellezza pare essere un “virus mentale” – quando diventa ossessione – senza confini. Noto è infatti il caso di Valeria Lukyanova, modella ucraina di 22 anni che è nota come “la Barbie umana” per gli interventi subiti che l’hanno resa più simile alla nota bambola Mattel che non ad un essere umano.

L’ultima tendenza tra le giovanissime arriva dalla Corea del Sud e si chiama “Smile Lipt”, ovvero la chirurgia plastica per modificare il sorriso e renderlo “all’occidentale”. Così la fisionomia viene alterata, le proprie origini soffocate e la particolarità di un individuo? Persa, annullata, perché la tendenza è ormai quella di somigliare più a delle bambole che non vestire i panni di esseri pensanti. Sì perché il pensiero ha perso valore; quanto un individuo può distinguersi per ciò che ha da dire piuttosto che per come appare conta sempre meno, tra i giovanissimi almeno.

Dato che l’evoluzione della generazione sta portando in realtà ad una sorta di involuzione – dell’essere pensante – perché non agire per rieducare chi ritiene che il fascino risieda nella perfezione delle forme ed ignora quanto di affascinante si possa apprezzare in un discorso pronunciato con profondità, in un’opera realizzata con il proprio ingegno e la propria professionalità, nella ricchezza dei propri interessi e nell’imprevedibilità del proprio estro? Sì che il culto della bellezza ha origini remote ed è forse agli antichi Greci che dobbiamo imputare l’imprinting, ma “imperfetto” è bello, diciamolo, con tutto il rispetto per le Barbie.

[Credits photo: Michelle Sank]

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