Grillo sull’immigrazione è con Bossi. Il M5S e la Lega tra sinistra e populismo

“Non mi aspettavo la vicinanza di Grillo sull’immigrazione”, queste le parole del fondatore della Lega Nord Umberto Bossi dopo che nei giorni scorsi Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio avevano sconfessato pubblicamente i parlamentari del Movimento Cinque Stelle favorevoli all’abolizione del reato di immigrazione clandestina. “Non era nel programma del M5s” hanno scritto sulla rete il leader e il guru sconfessando ancora una volta gli eletti del movimento. Ma la Lega Nord, oggi indebolita dagli scandali finanziari ma pur sempre opposizione in Parlamento, e il Movimento di Grillo, non convergono solo sull’immigrazione irregolare. C’è anche il no alle larghe intese e ai provvedimenti di clemenza invocati dal Presidente della Repubblica con un messaggio inviato alle camere ad unire bossiani e grillini.

Già, perché sono molti gli aspetti del fenomeno Grillo che ricordano quelli della Lega che fu, quella stessa che cavalcò la decapitazione della Prima Repubblica ai tempi “Mani pulite” sventolando il cappio in Parlamento e invocando l’azzeramento di una classe politica consunta. “Comunisti, socialisti, democristiani. Questa era gente da ammazzare. Da fucilare. Perché quando uno fa fallire un paese lo si fucila” parole del leader della Lega Nord quando il movimento nordista era ancora agli esordi. Quella Lega voleva la fine della partitocrazia e dello statalismo, invocava una rivoluzione federalista: devolvere il potere, dai palazzi romani ai cittadini. Ed anche la lista di Beppe Grillo dopotutto nasce con l’obiettivo di portare dentro le istituzioni, in nome della ‘democrazia diretta’, quella parte della società civile stufa di delegare ma che a fatica avrebbe superato il filtro partitico soprattutto in realtà locali dove l’affarismo spesso prevale su quello spirito di servizio che dovrebbe animare il politico.

Qualcuno dirà, sì ma la Lega si è alleata con Berlusconi. Ed è vero, ma i flirt con la sinistra non sono mancati. Dal ribaltone del ’94 col quotidiano ‘La Padania’ che titolava pezzi sul Cavaliere come oggi li titolerebbe il Fatto di Antonio Padellaro a quel Massimo D’Alema che della Lega parlò come di “una costola della sinistra”. Era una Lega antifascista in quanto “anticentralista”. “Noi siamo quelli che continuano la lotta di liberazione combattuta dai partigiani e tradita dalla partitocrazia” gridava Bossi facendo professione di antifascismo: “mai con l’Msi, mai coi nipoti dei fascisti!”. Difficile non pensare a distanza di anni quel dalemiano di Pierluigi Bersani, anche lui a provare a governare con un M5s in pieno boom, avvantaggiato dal fatto di non essere circoscritto territorialmente come la Lega Nord.

Sinistra e populismo. Legalitarismo e slogan ai limiti dell’eversione. Eppure difficilmente si sfocia in violenze come invece accadde negli anni ‘70, anzi, il paese più oltranzista trova uno sbocco parlamentare e i partiti ideologicamente estremi mantengono percentuali da prefisso telefonico. Stefano Rodotà, l’insigne giurista che i Cinque Stelle volevano al Colle, e che pure aveva avuto modo di stigmatizzare il populismo di Grillo, interrogato sul ruolo dei parlamentari cinquestellati ha sentenziato: “credo nelle virtù del Parlamento”.

Il populismo, come diceva un altro originale giurista, Francesco Cossiga, a volte, quando il ceto politico risulta scollato dalla propria base popolare, può essere il pepe della democrazia. E indubbiamente l’antidoto migliore, perché non ‘ad hoc’, a possibili derive come quella greca rimane, come la cronaca recente ci mostra, l’applicazione delle legge.

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