La storia di Francesco Tuccio da Lampedusa, per tutti Molino, è una storia speciale, perché ogni singolo avvenimento, anche il più insignificante, sembra non accadere mai per caso.
E qui accade il primo evento, che si potrebbe definire pilotato da qualcosa o da qualcuno. Mentre fa una passeggiata su una spiaggia, nota due travi colorate, posizionate in un modo strano. Si avvicina e capisce che si tratta di pezzi di qualche carretta di immigranti naufragata chissà dove. Ma quello che lo incuriosisce è la loro posizione, che ricorda una croce. Allora, li raccoglie e li porta in bottega. Sega, pialla e inchioda e quel legno fradicio e pieno di chiodi diventa una bellissima croce, simbolo della rinascita attraverso la sofferenza. Da quel momento, la causa degli immigrati di Lampedusa sarà la sua causa. Verrà eletto consigliere comunale, ma gran parte delle sue giornate le dedica alle sue croci e ai suoi pastorali.
Passano circa 2 anni e accade di nuovo: un altro avvenimento pilotato. Il vescovo di Agrigento è in visita a Lampedusa e, come prassi, prima di celebrare messa, visita l’isola, ma il corteo sbaglia strada e passa dinanzi alla bottega del Tuccio. Il monsignore è incuriosito da tante croci così variopinte e chiede al maestro d’ascia cosa rappresentassero. Così, viene a sapere che quelle croci, quei pastorali sono fatte di un legno raro, che si trova solo a Lampedusa, perché intriso delle lacrime e del sangue degli immigrati morti nel mare. Il vescovo, quando sente questa storia, chiede a Tuccio di poter celebrare messa con uno dei suoi pastorali e così sarà.
Da quel momento in poi si sparge la voce, Molino, come lo chiamano a Lampedusa, riceve commesse dalle diocesi di tutta Italia, ma non lo fa per soldi, ma per non far dimenticare quanto accade nella lontana Lampedusa.