Spot telefonici: non c’è limite al peggio

La pubblicità è una cosa seria.
O meglio. La pubblicità sa prendersi molto sul serio.

“Dieci giorni dopo, in agenzia, è il momento del PPM. Il “Pre Production Meeting”: la riunionite all’ennesima potenza. Non si sente volare una mosca […] Il Cliente con i suoi tre moschettieri, due account, la tv-producer dell’agenzia, due creativi, il regista, il suo produttore parigino, la sua stilista depressa, il suo scenografo inglese e una cost-control liftata. Quattordici persone presenti, rappresentanti una massa salariale annua di oltre un milione di euro”.
[Frédéric Beigbeder, 13.89 Euro]

Il PPM descritto qui sopra è all’ordine del giorno in qualsiasi casa di produzione pubblicitaria. Le cifre che girano sono altissime, le professionalità che si autocertificano sono in prima fila per non essere messe in dubbio e per far pagare cara la propria consulenza, si discute per ore di ogni dettaglio debba comparire nello spot, perché ci sono in ballo milioni di euro e non si può sbagliare di una virgola.

Poi però accendo la tv e vedo gli spot. E mi chiedo di cosa parlino davvero a quelle riunioni.
Non è facile fare spot pubblicitari accattivanti quando si tratta di prodotti che accattivanti non lo sono per niente, siamo d’accordo. Il livello non può essere sempre altissimo, non può essere sempre “aspirazionale” se quello che devi vendere è un anticalcare o un antipiretico.

Però dalle pubblicità delle compagnie telefoniche mi aspetto sempre molto e vengo sistematicamente delusa. Da anni.
E sì che il messaggio di fondo è proprio la comunicazione stessa, i suoi strumenti, i suoi canali, i servizi a disposizione affinché possa essere sempre più efficace. Quanti spot bellissimi si potrebbero creare sul solo concetto di comunicazione, di connessione, di presenza, di partecipazione?

E invece.
Una foca parlante con la voce della Littizzetto.
Una cantante che faceva bene a restare a cantare e basta e invece ha preso casa con altre tre sgallettate che si perdono nei boschi.
La coppia Panariello-Incontrada in alternanza al trio Aldo-Giovanni-Giacomo, a cui di comico resta solo l’intenzione.

Ti chiedi se non sia un problema di target ma poi pensi che non conosci un ragazzino a cui questo genere di comicità faccia ridere. Ti chiedi se non sia un problema di messaggio e pensi che non riesci a ricordare neanche vagamente quale prodotto stanno cercando di venderti. Ti chiedi se le quattordici persone unite intorno a quel tavolo abbiano quantomeno tentato di proporre una comunicazione più “alta”, per poi cadere su foche, sgallettate e comici che non ce la fanno più.

Mi ricordo quando la pubblicità vendeva desideri, vendeva mondi e aspirazioni a farne parte. Mi chiedo dove sia finito quel genere di pubblicità, di messaggio, di incapacità di cambiare canale perché quello spot è davvero bellissimo e lo vuoi vedere tutto.

Non riesco a darmi risposte. So solo che mi manca Gandhi.

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