Quando le misure contro l’immigrazione non funzionano

Dopo l’ondata emotiva seguita ai tragici avvenimenti di Lampedusa, il premier Letta ha annunciato di voler chiedere all’Europa di rafforzamento di Frontex, l’agenzia europea che dovrebbe occuparsi del controllo e della gestione dell’immigrazione nonchè misure straordinarie per il pattigliamento del Canale di Sicilia con numerosi mezzi della Marina militare e droni. Questo per intercettare prima i barconi carichi di disperati e magari bloccare già in partenza questi imbarchi.

Come riportato in due inchieste pubblicate su L’Espresso, tuttavia, sembrerebbe che un’operazione militare di pattugliamneto del Mediterraneo esiste già da oltre dieci. Si chiama Active Endeavour ed è a guida Nato. Nata per intercettare gli spostamenti dei miliziani di Al Quaida, dopo gli scarsi risultati, le attività sono state indirizzate al controllo del traffico di stupefacenti e alla tratta di esseri umani. Con risultati altrettanto fallimentari. Questa operazione è costata fin’ora all’Italia duecentotrenta milioni di euro.

Nel giugno 2010, in un rapporto dell’Institute for foreign policy analysis di Ginevra, in collaborazione con la stessa Alleanza Atlantica e con il governo statunitense, è stato dichiaranto che i problemi della missione Active Endeavour sarebbero fondamentalmente due: da un lato il fatto che in molti Paesi che partecipano alla missione non esiste il reato di sfruttamento dell’immigrazione clandestina, dall’altro la non comunicazione, almeno per vie ufficiali, con altre agenzie come Frontex per il coordinamento delle operazioni. Questo perchè Frontex è un organismo delle forze dell’ordine “civili” mentre Active Endeavour è un’operazione militare.

Per quanto riguarda Frontex invece, esiste dal 2006 ed è costata 601,5 milioni di euro in sette anni.
Per le operazioni di pattugliamento aereo, marittimo e terrestre servono trentuno milioni all’anno. Sei finiscono in ricerche e «analisi del rischio» per conoscere le rotte dei barconi.
Lo scopo per cui è nata sono tre: aumentare la sicurezza interna dell’Unione, ridurre il numero di ingressi non controllati alle frontiere, abbassare il numero di morti in mare. Ma le attività militari di presidio delle coste e quelle umanitarie di soccorso si sovreppongono e suscitano perplessità tra le stesse agenzie umanitarie. Così come perplessità sono state espresse anche dalle Nazioni Unite circa la compatibilità tra «un servizio di intelligence» e la difesa dei diritti umani.

Negli anni scorsi l’Italia ha firmato accordi di cooperazione anti-immigrazione con vari Stati nord africani come Tunisia, Egitto e Libia. Ovvero con i dittatori Ben Alì, Mubarak e Gheddafi. Dopo le «primavere arabe» sono cambiati gli interlocutori, ma la sostanza sembra essere rimasta invariata. Specie in Libia.
Si può quindi affermare che il muro che ha tenuto chiusa la porta dell’Europa con lo schieramento di ogni mezzo e forza armata dalle coste spagnole a quelle cipriote per i migranti si è dimostrata una spesa esosa oltre che estremamente inutile.

Cosa rende così difficile capire che evidentemente la soluzione risiede altrove e non nello sbarramento delle porte di accesso? Cosa impedisce la creazione di corridoi umanitari per permettere l’accesso all’Europa in sicurezza a queste persone? Non ci saranno mai misure repressive che impediranno agli esseri umani di cercare condizioni di vita migliori fino a quando i processi di democratizzazione nei loro Paesi di origine non saranno stabilizzati e si porrà fine a guerre e fame. Sempre la sicurezza e la tutela dei diritti umani sia effettivamnete interesse di Governi e Agenzie varie europee e mondiali. Quanti altri migranti di ogni età, anche bambini, dovranno morire prima che si decida di intervenire in maniera seria per prestare aiuto ed evitare stragi come quelle che già si sono verificate?

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