Before Midnight: la trilogia non si snatura e chiude con classe

Il cinema di Richard Linklater, a parte poche eccezioni, ha sempre puntato in maniera decisa sulla sperimentazione: di tipo visivo (A Scanner Darkly), narrativo (Prima dell’alba) visivo e narrativo insieme (Waking Life). Il regista statunitense, dopo Bernie e Me and Orson Welles, prosegue senza timori il suo percorso: ed è così che Before Midnight può essere considerato sia come una coerente conclusione della trilogia iniziata nel ’95, sia come una versione priva del rotoscope di Waking Life. Perché se nella pellicola del 2001 (sempre con Hawke e la Delpy) si parlava di vita (sognata o reale) in Before Midnight assistiamo ad un trattato sincero e genuino su amore e vita che si fondono.

Dopo il primo incontro sul treno per Vienna e il ritorno di fiamma nove anni dopo a Parigi (in Before Sunset), ritroviamo Jesse/Ethan Hawke e Cèline/Julie Delpy, ormai conviventi (abitano nella capitale francese) e con due figlie: mentre si trovano in compagnia di amici che li stanno ospitando in Grecia, i due hanno l’occasione di fare il punto sulla propria vita, sul loro presente e sul loro futuro.

Anche considerando la trama e i suoi (apparentemente assenti) sviluppi, quello che salta all’occhio anche dello spettatore che ha meno confidenza col cinema di Linklater è questo aspetto: in un’era in cui vanno così di moda i mockumentary, che permettono di inventare una realtà, sublimandola e filtrandola grazie al mezzo di comunicazione (la camera che riprende), Before Midnight rappresenta il loro esatto opposto. Si serve infatti della fiction per esprimere (in maniera perentoria) la realtà. La realtà non dei fatti e dei luoghi ma quella dei sentimenti e delle idee. Una capacità che richiede un acume e una sensibilità fuori dal comune.

Before Midnight: la trilogia non si snatura e chiude con classe_1

Sperimentazione, dicevamo all’inizio: in Before Midnight i cambi di scena si contano sulle dita di una mano. Assistiamo dunque, nel locus amoenus greco, a sequenze lunghissime, a volte stracolme di dialoghi, altre spoglie di parole, in cui il ritmo è quello della vita reale, in cui i malintesi, le arrabbiature e le esaltazioni sono quelle di ogni giorno. Il regista statunitense riesce a compiere un’introspezione incisiva sui suoi personaggi, fotografandoli in un giorno come tanti (e proprio nell’arco di un giorno si svolge l’intera vicenda), facendoli discutere dell’alto e del basso, del sublime e del gretto, alternando disinvoltamente sulle loro bocche versi poetici ad espressioni a sfondo sessuale. Senza però correre il rischio di cadere nel ridicolo, perché i dialoghi (forse per questo il film è piaciuto tanto a Tarantino) non smettono un attimo di interessare e stimolare chi guarda. E anche perché Ethan Hawke e Julie Delpy sembrano nati per questi ruoli.

Come altre di Linklater, Before Midnight non è un’opera di facile fruizione: bisogna dunque ben adattarsi al ritmo compassato e all’assenza totale di sorprese nello svolgimento. Se si riesce però sin da subito ad entrare in sintonia con l’approccio totalizzante (perché i dialoghi di Before Midnight, pur subendoli, ci fanno sentire partecipi), ci si scoprirà dolcemente trascinati da un flusso di coscienza di woolfiana memoria, che coinvolgerà non solo i personaggi immortalati ma anche chi guarda lo schermo. Che ad un certo punto, inevitabilmente, penserà che, sì, la vita è proprio così.

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