Trattativa Stato-Mafia, tiro al bersaglio sul Quirinale

Non bastavano le stoccate di Matteo Renzi su indulto e amnistia e un Movimento Cinque Stelle che ne chiede addirittura la messa in stato di accusa, stavolta è un esponente del Popolo della libertà a sferrare l’ultimo colpo contro il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano.

“In Italia ci sono dei traditori. Primo è il Pd perché è venuto meno ai patti. Poi c’è il Presidente della Repubblica, che sta facendo il suo secondo mandato perché lo ha proposto Silvio Berlusconi, ma la pacificazione di cui aveva parlato non c’è stata”. Con queste parole Daniela Santanché, tra i “falchi” del Pdl, è tornata ad attaccare il capo dello Stato provocando l’immediata presa di distanza da parte di molti esponenti del suo partito.

Continua così il tiro al bersaglio sul Quirinale, in una fase che vede proprio il suo inquilino, riletto a fronte della situazione di stallo emersa dopo le scorse elezioni, impegnato attivamente in un processo di normalizzazione del paese che dovrebbe traghettarlo verso le riforme istituzionali e la ripresa economica. Una delega tutta politica, quella di Napolitano, che ora è spalleggiato dai ministri e dall’ala “governista” delle principali forze politiche che hanno accettato il compromesso delle larghe intese. Enrico Letta per il Partito democratico, Angelino Alfano per il Popolo della libertà e Mario Mauro per Scelta civica.

Nella storia repubblicana il capo dello Stato non era mai arrivato ad essere investito di tanto potere, e probabilmente, il quadro politico non era mai stato tanto incerto. Dal rinnovo della architettura istituzionale alla riforma della giustizia, dal risanamento economico al reinserimento dell’Italia fra i grandi protagonisti dell’integrazione europea Napolitano, la commissione dei “saggi” e l’esecutivo sarebbero determinati a non rimandare.

Ma c’è chi vorrebbe staccare la spina all’attuale governo espressione del Presidente. Chi vede nell’iperattivismo di Napolitano una minaccia. Ossia una politica ansiosa di tornare ad elezioni, una politica che dice di voler restituire la parola ai cittadini sottraendo l’Italia ai giochi di palazzo. E qui è facile fare i nomi di Silvio Berlusconi, di Beppe Grillo e probabilmente di Matteo Renzi.

È anche per questi motivi che la recente notizia dell’accoglimento da parte della Corte di Assise di Palermo della richiesta del pm Nino di Matteo affinché Giorgio Napolitano deponga come testimone nell’ambito del processo sulla presunta trattativa Stato-mafia pesa come un macigno.

Già un anno fa, nel corso dell’inchiesta coordinata da Antonio Ingroia, il magistrato siciliano poi passato in politica, la Procura di Palermo aveva intercettato delle conversazioni telefoniche fra il Presidente della Repubblica e l’ex ministro dell’Interno Nicola Mancino. Sollevando presso la Corte costituzionale un conflitto di attribuzione fra i poteri dello Stato, la Presidenza della Repubblica era riuscita ad ottenere la distruzione delle registrazioni. In quell’occasione l’ex presidente della Camera e magistrato Luciano Violante, oggi fra i saggi per le riforme istituzionali, aveva parlato di un blocco populista che utilizzava le Procure come una clava contro governo e Quirinale.

Napolitano dovrebbe essere sentito limitatamente ad una lettera scrittagli dal suo consulente giuridico Loris D’Ambrosio, “scelta inusuale” secondo il ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri. A deporre è stato chiamato anche l’ex procuratore antimafia Pietro Grasso, attuale Presidente del Senato.

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