Le minacce di Brunetta alla Bindi: o dimissioni o guerriglia

Oggi all’ora del tè è prevista la riunione dell’ufficio di presidenza del Pdl, a Palazzo Grazioli, nella quale si discuterà la linea da adottare alla luce dell’elezione di Rosy Bindi alla presidenza della Commissione Antimafia. Mentre Alfano torna a indignarsi per i vent’anni di persecuzione contro Berlusconi, pronunciandosi sul rinvio a giudizio incassato a Napoli dal Cavaliere, Brunetta si scaglia contro la Bindi e il PD che per altro fa sapere che continuerà a votare la stessa persona.

Brunetta proprio non digerisce la neo eletta Bindi: “Le cariche istituzionali si decidono insieme, lo strappo dell’Antimafia non può essere tollerato e noi non parteciperemo alle attività dell’Antimafia fino a quando non sarà risolto il problema“. Queste le minacce, aggiunte ad altre dichiarazioni che lasciano intendere il voler contrastare il lavoro del governo Letta. L’intento del capogruppo alla Camera è chiaro ma risulta davvero dispettoso, irritante e canzonatorio visto che ha affermato: “Su questa posizione tutto il Pdl è unito come un solo uomo. La Bindi ha fatto il miracolo: ha riunito il Pdl“. L’atteggiamento proposto dal partito ai richiami del premier Letta e del presidente della Repubblica Napolitano, che solo due giorni fa parlavano di riforme condivise, non lascia sperare nulla di buono o di facilmente risolvibile.

Le riforme, altra questione spinosa affrontata a tutto tondo dall’intrepido Brunetta che si mette a dettare condizioni e a mettere in dubbio l’attività del governo, e che condividendo la linea del partito, sembra voler far slittare il decreto sulla Pubblica Amministrazione alla soglia della scadenza (settimana prossima, il trenta) per far scattare il voto di fiducia, l’ennesima conta del “si” o “no”. Attriti anche con il ministro Franceschini, proprio sulla questione della riforma del sistema istituzionale e della pubblica amministrazione, su cui il giudizio del capogruppo Pdl alla Camera non può che essere negativo visto che ribalta proprio la sua di riforma.

Le premesse per il voto del decreto al Senato sono queste quindi, portatrici di venti sfavorevoli. Il problema della conciliazione fra le due “maggioranze” presenti nel governo Letta, si acuisce nel momento in cui si aprono nuovi scenari all’interno dei partiti, vedi la spaccatura fra Casini e Monti e quella fra le due correnti interne al Pdl, senza poi toccare il PD.
Cosa ne sarà del decreto? La Bindi si dimetterà? E la legge di Stabilità? Letta dovrà ancora fare appelli alla coesione, alla disponibilità, alla condivisione dell’agenda di governo che intende risolvere i problemi più urgenti che affliggono il Paese? Per rispondere all’ultima domanda, si, è assai probabile. Ingolfare il sistema dei decreti è fare gioco sporco, per altro sulla pelle di circa diecimila persone. Attendiamo risposte soddisfacenti al Senato, dopo la vittoria del dl per la PA alla Camera.

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