Rugby League: L’Italia batte il Galles, ma non chiamatela impresa

La notizia è di quelle che fanno strabuzzare gli occhi, che ti fanno indietro nella lettura del titolo per cercare dove si è sbagliato, quale articolo o preposizione è saltata alla vista, cercando tra le righe l’inganno. Ma non è un errore, l’Italia del rugby batte per la prima volta nella storia il Galles nel proprio templio: il Millennim Stadium di Cardiff.

La partita è valida per la prima giornata di Coppa del Mondo di Rugby League, uno sport diverso dal Rugby Union, quello del Sei Nazioni per intenderci, ma comunque assimilabile alla famiglia della palla ovale, tanto che alcuni giocatori professionisti si dilettano indistintamente nei due codici di gioco senza alcun problema. Le differenze sono minime ma sostanziali: il Rugby League si gioca con tredici atleti per squadra (anche chiamato Rugby XIII), non prevede contesa dopo il placcaggio, non esistono le touche e il punteggio assegnato a mete e calci è leggermente diverso dall’Union.

L’ItalRugby espugna Cardiff con un punteggio eclatante, sei mete segnate, 36-12 davanti a ottantamila spettatori gallesi: non era mai successo nella storia della palla ovale italiana.
Un’impresa, senza dubbio, ma la domanda sorge spontanea: non essendo poi così diverso il codice di gioco tra Ruby XIII e Rugby XV, come è riuscita la nostra nazionale a battere una delle nazioni più forti di sempre?

Ecco l’inganno. Possiamo trovare la risposta andando a leggere la rosa degli azzurri chiamati a rappresentare la nazione in terra britannica. Da Chris Centrone, Cameron Ciraldo, Ben Falcone passando per Sam Gardel fino ad arrivare a Paul Vaughan, su 24 selezionati ben 20 giocatori sono nati e cresciuti in Australia, uno in Francia ed uno in Inghilterra. Solo due italiani in rosa, nati in Italia ma cresciuti nella terra dei koala e dei canguri. Tutti giocatori naturalizzati da lontane parentele da cui ereditano cognomi italofoni e doppia cittadinanza, tutto previsto nel regolamento mondiale.

L’Australia vanta una tradizione nel Rugby League singolare, dal 1975 e per le sette edizioni successive i “Wallabies” non hanno mai perso una coppa del mondo. Quasi quarant’anni di supremazia assoluta. Ciò dovrebbe aver messo le cose chiaro, l’impresa non è più straordinaria.

Una vittoria che non deve mettere in discussione un regolamento, nato per essere rispettato anche traendone vantaggi sostanziali. Andrebbero messi in discussione gli obbiettivi formativi di una federazione, quella italiana, in grande crescita ed espansione e con una discreta tradizione ancora in costruzione. Non si discute il luogo di nascita ma il paese di provenienza rugbistica, perché un australiano cresciuto nella palla ovale in Italia forse, almeno nel rugby, può considerarsi più italiano di chi eredita cognomi e passaporti ma non un trascorso di gioco in Italia.

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