Essere A-Social in un mondo in cui la privacy è oramai un optional

Il nostro è un mondo in cui si parla tanto di privacy, che in realtà non esiste davvero, almeno non più. Ognuno di noi ha almeno un account su un social network: che sia Facebook, Google+, Twitter, senza contare le iscrizioni a vari siti in cui per registrarsi bisogna immettere i propri dati.

Il nostro mondo rende i cittadini a portata di click, anche se non tutti naturalmente, ma la verità è che fin dal momento della nascita diventa difficile nascondersi. Quindi basta spesso una ricerca più approfondita e una serie di informazioni di vario genere arrivano a perfetti estranei.

È un mondo senza privacy quello che si affaccia al web 3.0, colpa anche della semplificazione dei regolamenti di questi social, soggetti a continue mutazioni.
Quando si sceglie di beneficiare del loro utilizzo attraverso strumenti e servizi offerti, si accetta anche che in qualsiasi momento le loro politiche siano modificate. Naturalmente ci si può sempre cancellare, azione resa nel tempo volutamente sempre più complessa, che spesso comporta quasi una “menomazione” o un danno superiore alla “libera scelta”, però non ci si cancella mai del tutto, post, foto, commenti fatti e tanto altro ancora rimangono in circolazione.

All’interno di Facebook è stato da poco aggiunto Graph Search, che da la possibilità agli utenti di cercare argomenti di conversazione all’interno di aggiornamenti di stato, commenti e post vecchi o nuovi che siano, andando a cercare a ritroso indietro anche di anni. Scrivendo direttamente sulla barra di ricerca il titolo cercato tra i propri post, oppure si potranno vedere tutti gli interventi dei propri amici.
Al momento è in funzione solo per i paesi anglofoni permettendo ricerche fra foto, musica, luoghi e giochi dei propri contatti.

Zuckerberg afferma che sarà utile per favorire le conversazioni reali permettendo di identificare in pochi secondi tutte le conversazioni rilevanti anche a posteriori, ed in modo più semplice rispetto a Twitter.
Tutto questo sembra il primo passo definitivo verso la totale pubblicizzazione dei nostri dati e delle informazioni e delle interazioni sulla rete.

Il mantello a cui si ricorreva nelle versioni precedenti che rendeva invisibile il proprio profilo a chi noi non desideravamo, ad esempio a coloro che non rientravano tra amici e contatti, non sarà più utilizzabile. La rimozione dell’opzione è iniziata gradualmente da più di un anno, i primi ad esserne privati sono stati gli utenti che non l’avevano scelta, fino a farvi rientrare tutti gli utenti.

Anche per Google vale lo stesso ragionamento dopo l’annuncio che permetterà di vendere agli inserzionisti commenti e foto di utenti di Google+ e YouTube.
Quindi, se in un post avrete parlato bene di tal esercizio, il vostro commento e le vostre generalità potranno essere venduti al proprietario del locale per farsi pubblicità. E cosa faranno la maggioranza degli iscritti di fronte a questa nuova intromissione nella loro privacy? Nulla. Tanto più che l’opzione può essere, ma solo per il momento, disabilitata.

Molti giudicano la perdita della privacy un vero problema ma, che si rivela tale solo a parole, alla prova del nove nessuno fa marcia indietro. Sono soprattutto gli under 30 che hanno la tendenza a pubblicare sui social network anche i particolari più intimi della propria vita e a credersi immmuni da eventuali effetti collaterali del loro oversharing, sanno che un giorno tutto questo potrà nuocergli, ma pensano, anche sbagliando, che a loro non accadrà mai.

La realtà purtroppo è molto diversa. E man mano che le politiche dei social continueranno a cambiare, potrebbero crescere il numero di coloro che si renderanno conto degli effetti di questi cambiamenti.

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