Milan e Inter: la crisi della Milano da bere non è solo sportiva

La Milano da bere, quella delle pubblicità di quando ero bambino, non c’è più. Almeno per quanto riguarda il calcio. Milano non primeggia più in Europa e, cosa ancora più strana per le nostre abitudini, nemmeno in patria. Che la geografia del calcio sia lo specchio di quella socioeconomica è cosa risaputa, a volte persino banale. Forse è grazie alle eccezioni che questo resta uno sport meraviglioso: la Steaua che trionfa a Siviglia contro il Barcellona nella finale di Coppa dei Campioni ’86 e l’incredibile ciclo della Stella Rossa di Belgrado a ridosso della guerra nei Balcani ne sono uno straordinario esempio. Ma per competere, oggi come una volta, devi avere soldi, idee, programmi ed entusiasmo. La classifica del campionato italiano, in questo momento, premia Roma, Juventus e Napoli. Prima vendere, poi comprare, prima investimenti come lo stadio (per la Juventus) o progetti tecnici sensati come quello di Garcia. Oppure meno sensati, come quello di Zeman, che hanno però portato alla società giallorossa il record di abbonamenti nella stagione precedente. E che dire del Napoli e del suo bacino di utenza. Una delle poche metropoli europee (con Parigi) a contare su una sola squadra. Senza menzionare Londra con le sue infinite squadre, basti pensare a Madrid, Roma, Manchester, Liverpool, Torino, Glasgow e l’elenco potrebbe durare per tutta la lunghezza del post. Napoli ribolle di passione per un solo colore, l’azzurro, e De Laurentiis sembra aver capito e valorizzato la cosa parlando alla città, prima ancora che ai tifosi.

Milano non è più quella di una volta, si diceva. Quella degli yuppies, dei self made man disposti a investire di tasca loro pur di arrivare in cima al mondo. Ci riuscì Silvio Berlusconi negli’80, facendo conoscere a tutti gli ingredienti del suo miracolo italiano. Tanti soldi, un progetto tattico spregiudicato (attaccare, divertire, vincere), la voglia di primeggiare in Europa prima ancora che in Italia, il primo progetto di una rosa di 22 titolari. Quel Milan teneva in panchina e in tribuna giocatori come Papin, Boban, Savicevic e Lentini, pur di non lasciarli alle dirette concorrenti. E poi televisioni, elicotteri che atterravano a Milanello e quella smania di investire e ricapitalizzare, sempre di tasca propria.

L’approccio di Massimo Moratti al calcio fu solo più romantico, ma non meno milanese. Figlio del grande Angelo, nei primi anni gli fu perdonato di tutto. Anche perché Massimo non ha mai lesinato investimenti. Solo che, a differenza di Silvio, oltre ai bilanci dell’azienda Inter doveva registrare il rosso dei bilanci della squadra. Il triplete del 2010 finirà per giustificare 20 anni di perdite che avrebbero messo in ginocchio qualunque impresa e che l’Inter pagherà per molto tempo ancora. Ed ecco che a salvare l’Inter arriva l’Indonesiano Thohir la cui competenza calcistica è tutta da dimostrare (per quella gestionale parlano i fatturati), mentre il Milan viene affidato a Barbara Berlusconi, giovane laureata in filosofia che, non ha caso, chiede di partire proprio dal “cambiamento della filosofia del club”. Il rapporto tra lei e Galliani, definito da Maradona il portaborse di Sacchi e artefice nel bene e nel male della storia recente del club di via Turati, è tutt’altro che idilliaco e sembra destinato a concludersi a fine stagione, nella più rosea delle ipotesi.

Milano, una volta città dove accadevano le cose che poi l’Italia assorbiva, è oggi una città per la prima volta in difficoltà nel trovare un’alternativa ad un disegno economico che tra gli anni ’80 e i primi 2000 l’ha portata a primeggiare in Europa, non solo nel calcio. Non è un caso che, secondo la Camera di Commercio, per la prima volta sotto la Madonnina, il nome di battesimo più diffuso tra i titolari di piccole imprese è Mohamed (1.600), che scalza Giuseppe (1.383) e Marco (1.131). Non è affatto un male, ci mancherebbe, ma è chiaramente un segno, un altro. Non è un caso nemmeno, tornando al pallone, che tre delle ultime quattro finali di Champions League siano state disputate dal Bayern di Monaco, società virtuosa che conta su ex campioni con incredibili qualità dirigenziali, tanto che, a dire di >Franz Beckenbauer quando entriamo in banca siamo una delle aziende alle quali stendono il tappeto rosso.

Il progetto del Bayern Monaco è un progetto tedesco, inarrivabile per le nostre società, nel panorama economico odierno. Restano le idee, la programmazione e l’entusiasmo, quello che a Milano (almeno a guardare le facce di Moratti, Galliani e Barbara Berlusconi) sembrano aver perso. Ma in fondo il calcio, come l’economia, è fatto di corsi e ricorsi storici, e non è mai troppo tardi per rivedere un nuovo romantico a Milano. Tutto sommato anche prima del Mago Herrera e di Nereo Rocco c’era una storia tutta da scrivere. Basta solo cambiare il claim. E chissà che la Milano da bere, ormai diventata la Milano da trangugiare, non ritorni ad essere, finalmente, una Milano da gustare.

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