Da Griffith a La Casa: storia dei sequel dimenticati

Nella storia delle arti narrative, il sequel è stato definito in svariati modi: il secondogenito, la banalizzazione di un prodotto, la commercializzazione di un’idea. Che rappresenti un’ideale prosecuzione dell’opera da cui deriva, un preambolo di questa (il prequel) o ancora, una rielaborazione tecnica o tematica (il cosiddetto reboot, di cui sentiamo tanto parlare oggi), il seguito non può eludere il confronto col suo seme originario.

Nella maggior parte dei casi, vox populi e critica tendono a bocciarlo, reputandolo colpevole di aver intaccato la perfezione del primo capitolo. In altri casi (molti meno, per la verità) il seguito supera il proprio fratello maggiore, o comunque riesce a tenergli testa: basti citare Il padrino – Parte II, Terminator 2 e Aliens – Scontro finale. Poi ci sono quei sequel che non sono ritenuti né migliori né peggiori rispetto ai loro precedenti: perché della loro esistenza non si ricorda praticamente nessuno. Un amaro destino toccato a molti titoli che hanno cercato di sfruttare la fortunata scia dei propri predecessori e che alla fine hanno ottenuto solo una scorciatoia per l’oblio.

E’ un argomento che riguarda non solo prodotti più di nicchia (si scopra a proposito il mondo della Asylum) ma anche diverse pietre miliari della settima arte: alzi ad esempio la mano chi si ricorda de La stangata 2 (’83), continuazione (teorica) del mitico film del ’73 con Paul Newman e Robert Redford. O de Il grande inganno (seguito di Chinatown di Polanski), pellicola del ’90 con cui Jack Nicholson aveva provato a riportare in auge il genere noir, ottenendo invece la conclusione della sua carriera da regista.
E il bello dei sequel è che sono democratici, non risparmiano nessuno, nemmeno Hitchcock. Il maestro del brivido, dopo la sua morte, ha dovuto incassare dapprima tre seguiti del suo Psyco (di cui uno, il terzo, girato da Anthony Perkins/Norman Bates) e successivamente, come affronto postumo, una sconcertante (nonchè apocrifa) continuazione de Gli Uccelli, realizzata nell’87 dal messicano Renè Cardona Jr. (specialista in B-Movies) col titolo Uccelli 2.

In tema di catastrofico invece, i sequel caduti nel dimenticatoio si sprecano: da King Kong 2 di John Guillermin (’86), prodotto da Dino de Laurentiis, a Scanners 2 (seguito della pellicola di Cronenberg dell’81), passando per le tre prosecuzioni di Tremors, fortunato fanta-horror del ’90 con Kevin Bacon.
E a proposito di horror, è questo il campo che ci fornisce il maggior numero di esempi di sequel (ufficiali e non) caduti nel dimenticatoio: l’esempio più emblematico è rappresentato dalla saga dell’Esorcista. Concepita giustamente come opera perfetta e finita, la pellicola di William Friedkin ha prodotto due seguiti: L’esorcista II – L’eretico, di John Boorman (sempre con Linda Blair e Max von Sydow) e L’esorcista III, di William Peter Blatty, uno dei più grandi flop dell’anno 1990 negli USA.

Merita un discorso a parte La casa: dopo i primi due capitoli diretti da Sam Raimi, la saga è stata contaminata con ben cinque sequel apocrifi, aventi in comune con l’originale solo il titolo italiano (accompagnato dal numero dell’episodio) e una casa stregata come location. Parliamo infatti di produzioni di grana grossa, tra le quali annoveriamo La casa 3 – Ghosthouse (’88) di Umberto Lenzi e La casa 5- Beyond Darkness di Claudio Fragasso.
E che dire de Il corvo? Dopo un onesto e coerente seguito del ’96, la mitica pellicola di Alex Proyas (mitica per ciò che accadde a Brandon Lee sul set) ha concepito altre due continuazioni (nel 2000 e nel 2005), già obliate da un pezzo. Stessa sorte toccata ai due sequel di Dal tramonto all’alba di Rodriguez, entrambi con Danny “Machete” Trejo.

In maniera sparsa, è possibile poi citare qualche altro seguito dimenticato: Grease 2 (dell’82, con una giovane Michelle Pfeiffer), La storia infinita 3 (’94), Superman IV (clamoroso flop ai botteghini dell’87), Cimitero vivente 2 (’92) e le due prosecuzioni di Cruel Intentions (2000 e 2003).

Il sequel dimenticato per antonomasia però non può che essere il primo sequel ufficialmente riconosciuto della storia: The fall of a nation. Il seguito di Birth of a nation (Nascita di una nazione) di David Wark Griffith, uscì nel 1916, un anno dopo la prima fortunatissima pellicola, sotto la regia di tal Thomas Dixon Jr. Ebbene, se il film di Griffith lo ricordiamo ancora ai giorni nostri (citato anche ne Il secondo tragico Fantozzi), il suo seguito, che ad oggi risulta smarrito, probabilmente lo avranno dimenticato ben prima della Seconda Guerra Mondiale.

Non è vero dunque che il secondogenito ha più privilegi del primo. O almeno, non al cinema.

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