Come fare di anarchia virtù

Si chiama Drachten la prima città al mondo che ha sperimentato la viabilità basata sul “vietato vietare”. Incroci senza semafori, rotonde senza precedenze o stop, marciapiedi aboliti, nessuna segnaletica orizzontale.
Inferno o paradiso degli automobilisti, dei ciclisti e degli altri fruitori della strada?

L’esperimento parla chiaro: una viabilità basata sul senso di responsabilità, sull’affidamento al senso di correttezza, di giustizia, di rispetto di ciascun utilizzatore della strada ha avuto un risultato a dir poco sorprendente.
Nessun incidente. L’esperimento è attivo da oltre 20 anni e altre città si sono accodate a imitare questa anarchia stradale così virtuosa.

L’idea era venuta a un ingegnere, Hans Mondermann, un dipendente del governo olandese che negli anni Settanta, cominciò a pensare che l’unica maniera per ridurre l’aumento degli incidenti era dare all’automobilista la responsabilità di ciò che faceva.
Ridurre le restrizioni imposte dall’alto e attribuire a ciascuno il senso della misura del proprio operato.
L’esperimento è passato attraverso diverse fasi, progettuale e strutturale innanzitutto sul versante della costruzione delle strade, con la riduzione della larghezza delle stesse, l’abolizione della linea di separazione delle corsie e dei marciapiedi, unitamente all’aggiunta di elementi rilassanti come parchi e fontane. Subito dopo arrivò la decisione radicale di rimuovere tutti i segnali stradali ed eliminare il limite di velocità.

Nel momento in cui venivano tolte le consuete regole stradali, ogni automobilista era costretto a raddoppiare l’attenzione su ciò che accadeva attorno a lui, aumentando il livello di guardia e di rispetto diffuso nei confronti di pedoni, ciclisti e automobilisti che sperimentavano lo stesso stato di anarchia e di auto-attribuzione di responsabilità.

Il buonsenso si è dimostrato quindi l’arma migliore, più di qualsiasi altra legge coattiva.

Sull’esempio della cittadina olandese, sono seguiti altri esperimenti.
Stolberg è stata la prima città, in Germania, che ha imitato modello olandese di Drachten, replicando i suoi sorprendenti risultati.
Un passaggio graduale, l’abolizione iniziale di 200 cartelli stradali, compresi quelli di divieto di sosta, in una cittadina di 23 mila abitanti: anche qui nessun incidente in tredici anni di autogestione.
È seguita Bohmte che nel 2008 ha dato anch’essa inizio all’anarchia stradale.

anarchiavirtu

L’eliminazione della segnaletica orizzontale e verticale ha causato un ritorno a una comunicazione attiva tra i vari utenti della strada: trattative a distanza tra automobilisti, ciclisti e pedoni, che si bloccano in mezzo alla strada indecisi sulla condotta da tenere; un breve scambio di gesti, sguardi, per riuscire a ottenere la precedenza, l’attraversamento, il passaggio e si riparte.

Sembra paradossale la necessità di rendere le strade più pericolose per aumentarne la sicurezza, ma questo progetto europeo “Shared Space“, cui partecipano sette Comuni in Germania, Belgio, Olanda, Danimarca e Gran Bretagna, continua ovunque a dare i risultati sperati. Automobilisti, pedoni e ciclisti condividono uno spazio e sta alla loro responsabilità evitare il caos. Shared Space è un modello per il futuro.

E se non riguardasse solo la circolazione stradale?
L’auto-attribuzione di responsabilità che porta a una condotta virtuosa non imposta dall’alto ma generata unicamente al fine dell’ordine generale e della gestione positiva di una determinata situazione, potrebbe forse diventare un modello che dalla viabilità approdi ad altri campi.
La prudenza data dalla percezione di un pericolo, la mancanza di un sistema normativo che imponga con la forza della sanzione la condotta da tenere, la responsabilità che ciascuno dovrebbe prendere verso di sé e verso gli altri ai fini di evitare il caos, sono regole che potrebbero essere applicate a qualsiasi ambito del vivere civile.

La libertà di cui non si abusa nel momento che la si ha interamente a disposizione dovrebbe far riflettere sul senso di molte norme restrittive che ottengono pochi risultati e in cui forse un’autogestione, una liberalizzazione dei comportamenti, sarebbe più responsabilizzante e decisamente preferibile.

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