Arrigo Sacchi in esclusiva: la vittoria rimane negli album, la prestazione nella mente delle persone

Intervistare Arrigo Sacchi, insieme ad altri 8 blogger, è stato un grande privilegio e sono felice di poter scrivere questo pezzo in esclusiva per Bloglive.

Per il Mister di Fusignano sembra che il tempo non passi mai. Non pare invecchiare, Sacchi e, soprattutto, gli anni (più di 20 dalla sua seconda Coppa dei Campioni) non sembrano aver minimamente scalfito le sue convinzioni. Vincere è importante, convincere lo è ancora di più. Integralista come sempre Arrigo. Severo, lucido, (ancora) controcorrente. Mai una risposta banale, a domanda risponde con argomentazioni e metafore come quella di Michelangelo. I quadri si dipingono con la mente, non con le mani. E così è anche per i calciatori.

Tancredi Palmieri detta le regole del gioco che Betclic ha organizzato. Un hangout con un panel di tutto rispetto. Le prime domande ripercorrono la carriera di Sacchi. Io gli chiedo la partita perfetta e lui mi risponde che non esiste, poi però ripensa agli ultimi 15 minuti di Italia – Nigeria e si rivede Sulla scaletta di un aereo verso una destinazione sconosciuta. Poi ci pensa Mussi, con i crampi, a mettere al centro quel pallone per Roby Baggio.

Gli chiedo anche come mai, a differenza di Ancelotti, Lippi, Capello e Trapattoni (gli altri grandi allenatori del calcio italiano) non ha sentito l’esigenza di provare a fare in un’altra squadra ciò che ha fatto nel Milan.

Ho sempre firmato contratti di un anno – risponde Arrigo – persino a Rimini e a Parma. E sai perché? Perché ho sempre pensato di smettere l’anno dopo. Quattro anni al Milan sono stati un’eternità e la carriera di un allenatore è troppo stressante. Dopo Parma, dove ho ricevuto il miglior trattamento economico della mia vita, ho deciso di chiudere. Intendiamoci, sono un uomo fortunato. Lavoro per il settore giovanile della Nazionale, scrivo per il più importante quotidiano sportivo italiano, ma non chiedetemi di tornare ad allenare.

Sul valore della prestazione ci regala la massima della giornata:
La vittoria rimane negli album, la prestazione nella mente delle persone, per sempre.

Gli chiediamo anche quale allenatore stima di più in Italia e risponde a sorpresa:

Sarri dell’Empoli, anche se non è più giovanissimo. Poca ironia, Sarri ci sa fare davvero. Lo scoop ce lo regala rispondendo alla domanda sul giovane talento italiano più forte:

Un anno fa ti avrei risposto Insigne. Ma il ragazzo si è perso. E non certo per colpa di Benitez che è un grande, un professore del calcio. La colpa è dei soldi, altro che. Ha perso brillantezza.

Inorridisce quando gli si parla di campioni. Racconta di quella volta in cui vide Maradona fare il terzino al Bernabeu per marcare Bento. Difende il Milan e il suo gruppo come se 20 anni non fossero passati mai.

Abbiamo vinto una Coppa dei Campioni senza Gullit e uno scudetto senza Van Basten. Era il progetto che funzionava. Appena arrivato al Milan dissi che Di Bartolomei non serviva alla squadra e Borghi, che tanto piaceva al Presidente Berlusconi, nemmeno. Mi chiesero se volevo al Milan un giocatore della nazionale e io dissi di no. Dissi che avrei preferito la sua riserva.

Tancredi Palmieri, da grande giornalista, gli chiede chi era la riserva.

Lui non risponde, lascia il benfeficio del dubbio su entrambi.
Altrimenti capisci chi non ho voluto al Milan. Ride.

Di chi stava parlando, secondo voi?

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