Questi siamo noi: Gigi D’Alessio e Anna Tatangelo conquistano la prima serata

Ho guardato (lo ammetto) Questi siamo noi, il programma diretto da Roberto Cenci, con Gigi D’Alessio e Anna Tatangelo. Roberto Cenci, tanto per intenderci, già ideatore di Sarabanda, Ti lascio una canzone, Saranno Famosi e Io Canto. Insomma, un recidivo. Uno che ha capito, e bene, cosa piace agli italiani: cantare. Cambiano gli interpreti, resta il presupposto di base: la canzone intrattiene grandi e piccini, e in fondo che male c’è. Sanremo non avrebbe superato le sessanta edizioni se così non fosse stato. E non mi sorprende neanche il fatto che il format dello show più famoso d’Italia assomigli sempre di più a questi programmi. Canzoni orecchiabili, duetti e molto coinvolgimento social da parte del pubblico.

Ma andiamo per ordine. Una trasmissione interamente dedicata ad un cantante è una consacrazione, che ci piaccia o no. Non è una fortuna capitata a così tanti artisti, o presunti tali, in Italia. Senza scomodare Celentano mi vengono in mente (a memoria) Gianni Morandi, Tiziano Ferro e Laura Pausini. E il solito Fiorello, che però fa parte di un’altra categoria, quella dei fuoriclasse. Proprio Fiorello è stato colui che tra i primi ha sperimentato un programma socialtelevisivo. Quella volta sbagliò clamorosamente l’hashtag: #ilpiugrandespettacolodopoilweekend era un po’ troppo lungo, ma il progetto funzionò: guardare e commentare, possibilmente ottenere il consenso social (e sociale).

Se date un’occhiata a Twitter e all’hashtag #questisiamonoi l’impressione è che tutti abbiano guardato lo show di Canale 5 (che nel 2008 doveva essere della Rai, fu Del Noce a bocciarlo). Di certo tutti hanno voluto commentare, se non altro per denigrarlo, pratica, a onor del vero, molto diffusa sui social. Tanto da suscitare il sospetto che qualcuno scelga volutamente programmi trash proprio per far sì che vengano commentati su Twitter. In fondo twittare durante un film appassionante o una trasmissione coinvolgente è cosa assai improbabile. Molto più semplice passare una serata a fare ironia sui presunti scrittori di Masterpiece o sulle canzoni di Gigi D’Alessio.

Vi dico la verità: ho guardato Questi siamo noi con grande scetticismo, ma non con prevenzione. Non parlerò in questo articolo della carriera di Gigi D’Alessio e di presunti favoritismi che gli avrebbero permesso di arrivare dove è arrivato perché, per l’appunto, restano presunti. Né starò qui a difendere la sua musica. Ha già molti fan e non gli servo io. Dico soltanto che, tutto sommato, lo show è stato gradevole. Cenci ha riproposto il suo copione: canzoni popolari (non solo di D’Alessio, sono stati scomodati anche Battisti, Endrigo e Tenco) e duetti. Un format in verità in voga in questo paese fin dai tempi dell’avanspettacolo. E proprio dall’avanspettacolo sembrano venire alcuni sketch tipo quello di Anna Tatangelo che fa il verso a Claudia Mori (ricordate Buonasera Dottore?) al telefono con il suo compagno.

E finché si è trattato di Alessandra Amoroso e Checco dei Modà nessuno ha storto il naso, nemmeno davanti a Napul’è di Pino Daniele. Poi è arrivato Vecchioni e più di qualcuno si è chiesto “E questo che ci fa qui?” E devo ammettere che la sua risposta mi è piaciuta molto: “Gli snobismi non mi interessano” ha detto dopo aver ascoltato la Tatangelo interpretare Chiamami ancora amore.

Forse è nella frase di Vecchioni la chiave della serata. Che Gigi D’Alessio piaccia o meno (la Tatangelo onestamente l’ho vista più negli spot televisivi di Coconuda che durante la trasmissione) credo sia un importante rappresentante delle canzone popolare italiana. Quella che a molti, me compreso, fa rabbrividire, ma che ha permesso per esempio ad un finto napoletano nato a Foggia di arrivare al Madison Square Garden. Non ho gradito molto la lungaggine della serata, i duetti tra Biagio Izzo e Andrea Pucci. Scontati, banali e persino fuori posto in certe battute (una su tutte sul marito che picchia la moglie nella giornata mondiale contro la violenza sulle donne). Forse si poteva chiudere su Luci a San Siro di Vecchioni, almeno così mi sarebbe piaciuto. Ma sarebbe stato troppo. Le cose dette mai erano davvero inevitabili. Neve ad agosto compresa.

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