La Decrescita Infelice delle Risorse Umane

La Decrescita Infelice delle Risorse Umane è un movimento (da me inventato in questo istante in contrapposizione alla decrescita felice, che invece realmente esiste e tende a rendere più sostenibili i nostri stili di vita), spontaneo quanto inconsapevole di una serie di individui della Savana Imprenditoriale, che, credendo di realizzare azioni che allunghino la vita delle aziende, di fatto ne hanno segnato lo svuotamento di conoscenza, di condivisione di competenze, di valori professionali. Mi piacerebbe condividere con voi alcuni fattori che, complice la crisi, sono i risultati di un pensiero manageriale fin troppo diffuso.

La delocalizzazione. I geni teorizzatori della delocalizzazione sono sempre loro: i Grandi Consulenti. Da fonti giornalistiche pare che Boston Consulting sia stata la prima ad aver teorizzato la delocalizzazione. Spostare la produzione in Paesi non del tutto sviluppati avrebbe permesso alle aziende (prima americane e poi) italiane di beneficiare di costo vantaggioso della manodopera, assenza di sindacati e quindi diritti dei lavoratori, permettendo loro di non perdere tempo con tutte quelle norme fastidiose in termini anche di tutela ambientale e sostenibilità (insomma le solite rotture di palle di ogni illuminato imprenditore medio italiano). In Italia la prima ad abboccare è stata la veneta Belfe, l’ultimo sempre ultimo, il buon Marchionne, che ha avuto se non altro il merito di riportare alla luce i sindacati americani, che ormai tutti ritenevano estinti.

I Grandi Consulenti (ammaestrati – come dice il mitico Riccardo Ruggeri – in una delle top five university europee e a seguire in qualche quotatissimo master) non avevano però pensato alle banali conseguenze di queste azioni. Ovvero, che il costo del lavoro in quelle aree depresse sarebbe inevitabilmente fluttuato a causa della velocissima competizione industriale, che la qualità e la preparazione della manodopera non era assolutamente all’altezza di quella in Patria e di conseguenza la manutenzione soprattutto di macchinari sofisticati avrebbe inciso notevolmente sui costi di impresa, che i prezzi dei carburanti sarebbero comunque continuati a crescere aumentando cosi anche i costi della logistica (complice anche una politica governativa che non dialoga con gli imprenditori e che, oltre ad essere sorda alle tematiche del costo del lavoro, di fronte alla fuga delle imprese all’estero, ha continuato a investire – Monti in primis – sulle energie fossili anzichè su quelle sostenibili).
Per non parlare della qualità del prodotto, del Made in Italy svilito e via e via.

E così, all’anno V della Crisi, ecco che chi se lo può permettere, inizia a fare marcia indietro. Si chiama “backshoring”, si traduce “scusate ho fatto una cazzata”. Peccato che a pagare non siano stati nè i Grandi Consulenti, nè i Top Manager che hanno seguito pecoronamente i loro consigli.
In Europa l’Italia rappresenta il 60% delle aziende delocalizzate. Dal 2007 al 2012 sono oltre 300 le aziende (americane per prime) che hanno fatto marcia indietro, di cui la stragrande maggioranza hanno abbandonato la Cina, proprio per i motivi di cui sopra. L’analisi completa, molto interessante la trovate qui.

Attenzione perchè gli amici di Boston Consulting ne hanno appena inventata un’altra: il nearshoring. Ovvero, utilizzare i voli low cost per mandare in missione i manager in quei Paesi e farli rientrare nel weekend. Datemi retta: comprate un biglietto per una serata allo Zelig. Si ride un pò di meno, ma costa meno di queste consulenze e i danni sono contenuti.

Licenziamenti di manager con esperienza sostituiti da “giovani talenti” Le aziende, lo sappiamo, hanno licenziato operai e middle manager. I primi quasi sempre non sostituiti per effettiva mancanza di commesse o (fatevi quattro risate) per semplice mancanza di visione industriale, i secondi invece rimossi per “contenere i costi”. In alcuni casi alcune figure aziendali sono state “compresse” e quindi sono stati affidati più ruoli ad una stessa persona (e ci sta), in altri casi, sono stati assunti “giovani talenti” senza esperienza. Mi sembra evidente e senza alcuna necessità di commento cosa abbia significato sostituire un commerciale con dieci anni di esperienza, una rete di relazioni ormai consolidata, una gestione delle obiezioni qualificata, con un per-quanto-brillante neolaureato. Queste decisioni non hanno fatto altro che indebolire le competenze aziendali, annullando il beneficio di quella staffetta che una volta era strategica per la formazione e la crescita di nuove risorse in azienda, che venivamo affidate a un “senior” che insegnava loro i segreti del mestiere, creando nuove competenze e facilitando il passaggio generazionale. E plasmando, di fatto, quei brillanti neo laureati in manager del futuro, anzichè bruciandone aspettative e potenzialità. E’ un dato statistico che i giovani percepiscono il lavoro dipendente in maniera negativa.

Nel frattempo il Governo, ha ben pensato di promuovere incentivi per l’assunzione di giovani, mentre finivano per strada “vecchi 45 enni” corredati di mutuo, famiglia a carico, impossibilità al trasferimento. La Fornero poi, ha dato la seconda passata.

riduzione degli stipendi Per un qualche perverso motivo, gli HR Business Partners (cioè il Direttore del Personale geneticamente modificato al fine almeno di “sembrare” agli occhi del Padrone, una figura che ci azzeccasse qualcosa con il Business) frequentando altri HR Business Partners alle Riunioni dell’Accolita Associazione di Categoria hanno imparato che in cinese “crisi vuol dire anche opportunità”. Dopo esserselo ripetuto fra di loro come un mantra, hanno dunque deciso di metterlo in pratica all’interno delle proprie aziende. Lustrandosi i bottoni di ottone e i stirandosi i pizzi delle maniche, gonfi come pavoni alla sagra della gallinella, hanno proposto al CDA un “budget strutturato di revisione dei costi”. Il suddetto piano consiste nell’assumere professionisti da centomila euro a un terzo dello stipendio, confidando, alla sciacalla maniera, nella necessità vitale di molti professionisti-PoveriCristi di rientrare al più presto nel mondo del lavoro. Certo, in molti casi così è stato. E infatti, nei corridoi di quelle aziende, adesso vagano dei fantasmi senza anima, con un senso di appartenenza all’azienda che li ha assunti pari a zero, che la prima azione che compiono ogni mattina accendendo il pc è guardare le opportunità di lavoro e inviare tre cv.

Stiamo perdendo l’identità. Altro che Olivetti.

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