L’amore, la mafia e l’iris alla ricotta

Una storia d’amore può essere pretesto, fine, causa, movente e collante di una narrazione. Attraverso l’amore, le relazioni e le loro metafore possiamo raccontare tutto, ma proprio tutto.
Provate a pensare alle storie che vi hanno emozionato, ai film che vi sono rimasti impressi, ai libri che rileggereste mille volte.

All’amore spetta quasi sempre un ruolo, principale o secondario, sullo sfondo o in prima linea.

Per deformazione professionale, cerco la scintilla in ogni storia e da quella provo a seguire il filo del discorso, a capire i personaggi e la loro filosofia e a districare la trama.
Ogni storia, in fondo, è una storia d’amore.
Prendete, per esempio, un ragazzino, impacciato e sognatore, che va alle elementari e si innamora di una nuova compagna di scuola. Lei è sorridente, bionda biondissima, dolce, intraprendente e spigliata.
Pensate ai suoi tentativi di provare a superare la timidezza e a conquistarla, facendole regali segreti, provando a spiarla da sotto la sua finestra, cercando di attirare la sua attenzione.
Adesso immaginate che i due vivano a Palermo, alla fine degli anni ’70, e che intorno a loro succedano cose che non riescono a spiegarsi, come sparatorie, omicidi, stragi.
Arturo, il protagonista di La mafia uccide solo d’estate, bellissimo esordio cinematografico di Pierfrancesco Diliberto (in arte Pif), è un bambino innamorato, che non capisce il mondo che gli sta intorno, che osserva tutto quello che accade filtrandolo con l’ingenuità della sua giovane età. Nei suoi teneri tentativi di far breccia nel cuore di Flora, incrocerà la sanguinosa storia della Sicilia di quegli anni, forse tra i più cruenti della storia di Cosa Nostra.

Pif confeziona un film perfetto, tra fiction e documentario, alternando immagini di repertorio a scene di finzione. Usa l’amore come filo conduttore, raccontando di come la vita proceda in maniera normale, anche in una città assediata e minacciata come Palermo.
La storia di Arturo è strettamente legata a quella della mafia. La notte del suo concepimento, nello stesso palazzo dei suoi genitori viene freddato Michele Cavataio dagli uomini della famiglia Badalamenti. La mattina successiva al suo casuale incontro con il simpatico commissario Boris Giuliano, che gli offre un’iris alla ricotta che lui porterà in omaggio alla sua Flora, questi viene ammazzato. Il Generale Dalla Chiesa gli concede un’intervista, rispondendo alle domande naïf da giovane reporter e poco dopo…
Oltre a sviluppare una morbosa e buffa devozione nei confronti dell’allora Presidente del Consiglio Giulio Andreotti, descritto dai media e dalle persone influenti come una persona rispettabile e buona, Arturo prova a darsi delle spiegazioni a quello che vede intorno a sé o che ascolta dal telegiornale. Viene continuamente “rincuorato” dagli adulti, che continuano a ripetergli che la mafia non esiste, che gli uomini vengono uccisi sempre per questioni di “femmine”, che l’importate è farsi i fatti propri e che non c’è bisogno di allarmarsi poi tanto, perché la mafia, appunto, uccide solo d’estate e quindi tutti possono vivere sereni durante l’inverno.

Pif racconta pagine nere della storia del nostro paese con una leggerezza e una poesia sorprendenti, attraverso gli occhi di un ragazzino pieno di sogni e speranze, che prova a interpretare il mondo senza l’ipocrisia e la paura di chi ha capito e accetta la realtà per quella che è.
Il film riesce a strappare più di un sorriso, nelle maschere dei boss mafiosi che sembrano ancora più grotteschi, nei malintesi in cui cade vittima il protagonista, da ragazzino a da adulto, nei tentativi dei più di nascondere, soprattutto a loro stessi, la natura feroce e spaventosa di quello che li circonda.
Arturo ritroverà Flora da adulto, avendola aspettata tutta la vita, ed entrambi, dopo le tremende stragi dell’92, come molti loro concittadini, apriranno finalmente gli occhi e decideranno che è ora di dire basta.

La pellicola di Pif è una commovente dichiarazione d’amore totale per la sua terra, per quella Sicilia martoriata dalla mafia e dall’omertà. È un brillante tentativo di raccontare con un linguaggio intuitivo e diretto quello che è successo, succede e non dovrebbe più accadere.
È un invito ad assumerci tutti le nostre responsabilità per cambiare le cose e per non dimenticare.
È una speranza che qualcosa cambi, perché anche se la lotta è ancora lunga e faticosissima, forse possiamo farcela, tutti insieme e senza pause invernali.

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