Tra lacrime, polemiche e fortuna (che non guasta mai) si consuma l’ultimo atto dei gironi eliminatori di Champions League con una Little Italy. Vince la sorte del Milan che ha il merito di resistere strenuamente in 10 uomini ad un Aiax tutt’altro che sprovveduto e che rappresenterà l’Italia agli ottavi di finale. Sarà felice Galliani, per lui è sempre una grande soddisfazione poter dire che nel Dna del Milan c’è l’Europa. E tutto sommato i fatti gli danno ragione. Vallo a spiegare a Don Raffaè Benitez che ha fatto 12 punti e deve salutare la competizione più importante d’Europa, o a Conte che ancora si lamenta per le condizioni del campo di Istanbul.
La neve non preannunciava niente di buono. Come la pioggia di Perugia. Quella volta si giocò, ieri sera la gara è stata rinviata. Ma il risultato è lo stesso: quando Giove si mette contro la Juventus, finisce sempre male. Eppure il campo quasi impraticabile di Istanbul avrebbe dovuto favorire la squadra alla quale bastava lo 0 a 0 piuttosto che quella obbligata a vincere. La verità è che la Juve non può arrivare alla partita decisiva con una sola vittoria in cantiere. Mi sento di dire che Mancini abbia meritato il passaggio del turno e che, sportivamente parlando, sarà bello vedere ancora (a dispetto della carta d’identità) giocatori come Drogba e Sneijder. Campioni.
La Juventus non deve perdersi d’animo. L’Europa (Italia?) League è sì un ripiego, ma con la finale a Torino non snobbare la competizione è un obbligo. Anche perché ricominciare a prendere confidenza con la vittoria, in Europa, è il modo migliore per scacciare incubi e fantasmi del passato. Quelli di una squadra che domina in Italia e soffre oltremisura anche il primo Copenhagen che passa per strada. Mi auguro che la presenza dei bianconeri possa motivare anche le altre italiane: una bella finale tutta nostra sarebbe tutt’altro che una consolazione. Lazio, Fiorentina e purtroppo da oggi il Napoli, possono giocarsela, stavolta sul serio.
Quando ti aspetti il giallo oro, da miniera della Renania, della maglia di Lewandowski spunta quello di Higuain, el pipita. Il suo giallo è quello del sole di Napoli e un sorriso grande così. Sembra fatta ma a pochi minuti dalla fine arriva da Marsiglia la notizia del vantaggio (immeritato) del Dortumund, che conquista addirittura il primo posto. Nessuno era mai uscito con 12 punti, è successo al Napoli, che a differenza della Juventus, non può davvero rimproverarsi nulla. Sacrosanti gli applausi del San Paolo a fine gara, commoventi le lacrime di Higuain, uno che a Napoli sembra viverci da 10 anni, altro che la saudage, la mamma, il cibo argentino.
Il Milan, dicevamo. Soffre oltre il lecito per una follia di Montolivo, stringe i denti, si difende all’italiana. Certo, una reazione su Poulsen non è mai ingiustificata, ma stavolta il capitano del Milan rischia davvero di farla grossa e costringe Abbiati agli straordinari. Tra le squadre qualificate, sarò sincero, il Milan mi sembra una delle meno competitive. A meno che Balotelli non decida di fare il fenomeno (o di fare ciò che non aveva mia fatto prima di stasera: sacrificarsi per gli altri). Ma non ricordo, a memoria, una squadra vincere in Europa grazie alle qualità, seppur eccelso, di un singolo.
Quanto conti l’allenatore, nell’attuale contesto calcistico internazionale, è presto detto: sufficiente dare un’occhiata alle squadre qualificate agli ottavi di finale di Champions. Evito di citarli tutti, vi bastino Mourinho, Guardiola, Wenger, Pellegrini, Klopp, Simeone, Spalletti, Blanc, Ancelotti, Mancini, Martino. A parte quest’ultimo, che guida una squadra che gioca a memoria da una generazione, gli altri incarnano perfettamente, chi più chi meno, la figura del manager moderno: maniaco della tattica ma non solo. Perfezionista, abile nella gestione del gruppo, spigliato nelle pubbliche relazioni, internazionale (perché conosce almeno due lingue). Senza allenatori così non si vince la Champions.
Chissà cosa pagherebbe Mourinho per ritrovare il Real sulla sua strada. Non sarà per gli ottavi ma chissà che non possa accadere più in là. Quando si parla di squadre spagnole ci si dimentica spesso dell’Atletico Madrid. Una squadra che è in testa al campionato e che nelle ultime 5 stagioni ha conquistato due volte l’Europa League e altrettante la Supercoppa Europa. Guidata da un allenatore che per qualità tattiche e capacita di leadership ha pochi rivali: Diego El Cholo Simeone, uno che sulla panchina dell’Inter ci sarebbe stato benissimo. O potrebbe starci in futuro.
Ultima considerazione: vero è che agli ottavi portiamo una sola squadra italiana, ma di allenatori nostrani nel portiamo quattro. Oltre ad Allegri (a mio parere sottovalutato il suo lavoro in questi anni, in condizioni quasi proibitive) ci sono il già citato Mancini, Ancelotti e Spalletti. Non è un caso che si tratti degli stessi nomi sul taccuino della FGIC per il dopo Prandelli. Tra le qualificate merita una menzione il PSG che l’anno scorso aveva costruito le basi (sempre grazie ad Ancelotti) per diventare grande. Quest’anno può arrivare almeno in semifinale. Deve.
Pensiero finale per gli arbitri. Bene i cartellini, in Europa nessuno ha paura di espellere, e meno male. Anche se l’espulsione per simulazione di Payet, a Marsiglia, grida vendetta. Meno bene gli assistenti, o guardalinee che dir si voglia. Troppi errori sui fuorigioco, alcuni onestamente clamorosi (vedi Marsiglia e secondo gol dello Shalke04). Ma il bello dell’Europa è che nessuno da troppo peso a queste cose. Meglio così, vedremo cosa succederà al sorteggio di lunedì. Non aspettiamoci regali dall’urna. Mai come questa volta arrivare secondi non è cosa buona. E tra quattro inglesi, quattro tedesche e tre spagnole il Milan rappresenta davvero una Little Italy.