Made in Italy preda degli imprenditori stranieri

Made in Italy in saldo, questo quanto emerge dalla ricerca “Outlet Italia, cronaca di un Paese in svendita” presentata da Eurispe e Uil-Pa. E potrebbe non essere finita qui visto i dossier ancora aperti di Telecom ed Alitalia.

In quattro anni, dal 2008 al 2012, ben 437 marchi, tutti orgoglio nazionale, hanno cambiato proprietà e non battono più bandiere italiana, ma estera. L’elenco, ovviamente, è lungo. I gelati Algida e l’olio Bertolli acquistati dall’Unilever. E i salami Negroni in mano alla Kraft, che ha fatto bingo rilevando anche i tortellini Fini e il caffè Splendid. Anche la multinazionale svizzera Nestlè ha fatto shopping in grande: Vismara, Buitoni, Perugina Motta e le acque San Benedetto. I cugini d’Oltralpe di Bsn-Gervais-Danone hanno fatto poker portando a casa Galbani, Saiwa, Agnesi e Ferrarelle. Batte bandiera a stelle e strisce la Martini & Rossi. Mentre la Lactalis ha acquisito una Parmalat faticosamente risanata dopo l’era Tanzi. Dovrebbero modificare claim alla Peroni, non più la birra degli italiani, ma dei sudafricani di SabMiller.

Non solo generi alimentari, anche nel comparto motori da evidenziare il passaggio dello storico marchio Lamborghini acquistato prima dalla Chrysler e poi dalla teutonica Volkswagen. Quest’ultima dalla 4 è passata anche alle 2 ruote acquisendo il controllo della Ducati.

La moda e il lusso, da sempre marchio di fabbrica dell’ingegno italico, non esiste quasi più. Pinault ha preso Gucci e Pomellato. Mentre sono i proprietari di Bulgari, Fendi e Loro Piana i francesi di Lvmh.

Almeno possiamo consolarci pensando che si sia trattato di vendite al meglio possibile, ma non sempre è stato così. “Molte delle nostre migliori realtà imprenditoriali – ha evidenziato Gian Maria Fara, presidente dell’Eurispes – sono state schiacciate dalla congiuntura economica negativa, unita all’iper-burocratizzazione della macchina amministrativa, a una tassazione iniqua, alla mancanza di aiuti e di tutele e all’impossibilità di accesso al credito bancario. Tutto ciò ha determinato un mercato ‘malato’ all’interno del quale la chiusura di realtà imprenditoriali importanti per tipolgia di produzione e per know-how si è accompagnata spesso a una svendita necessaria di fronte all’impossibilità di proseguire l’attività”. Caustico il commento di Benedetto Attili, segretario generale della Uil-Pa. “La svendita della nostra rete produttiva ci impoverisce sia dal lato economico, poiché siamo costretti giocoforza a vendere a un prezzo inferiore rispetto a quello reale, sia per la perdita di asset immateriali perché vengono meno la tradizione, l’esperienza e la storia insita in ciascuna delle aziende di cui ci priviamo”.

Accanto alla vendita-svendita dei nostri marchi storici, c’è da evidenziare anche l’invasione sul mercato italiano ed estero di prodotti che vengono spacciati per Made in Italy. È di pochi giorni fa la protesta degli agricoltori al Brennero che hanno fermato camion con generi alimentari prodotti in altri Paesi, anche extra Europei, e con nomi sulle etichette terribilmente simili alle produzioni italiane.

E in un momento di forte crisi come questo, perdere anche un solo potenziale acquirente può voler dire mettere la propria azienda in vendita su un mercato che vede protagonisti tanti imprenditori esteri che non vedono l’ora di proseguire nel loro shopping.

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