Alzheimer: far fronte alla demenza degenerativa con l’alimentazione

La demenza dovuta al morbo di Alzheimer oggi colpisce circa il 6% delle persone che annoverano più di 60 anni. In Italia si stimano circa 500mila persone affette da questo disturbo. Questa è, secondo il Ministero della Salute, la forma più comune di demenza senile, che determina una alterazione delle funzioni cerebrali implicando una serie difficoltà per il paziente nel condurre le normali e semplici attività quotidiane. La malattia che causa la morte dei neuroni, colpisce la memoria e le funzioni cognitive.

Secondo una ricerca pubblicata sulla rivista The ecologist una corretta alimentazione potrebbe influire positivamente nella non insorgenza di tale malattia. Quindi sarebbe scientificamente provata la menzione del classico “mens sana in corpore sano” consequenziale a un canonico “prevenire è meglio che curare”.

Secondo gli scienziati britannici il cervello è un organo adiposo, e in quanto tale, funziona meglio se alimentato dal giusto tipo di olio e di grasso. Uno studio del 2003 pubblicato su Archives of Neurology ha dimostrato che gli oli vegetali possono essere la causa del 20% in meno dello sviluppo della malattia.

Nello specifico, la corretta assunzione di Omega-3 potrebbe notevolmente influire sul rallentamento del disturbo. Uno studio analitico compiuto su 204 malati di Alzaheimer ha concretamente dimostrato che con l’assunzione di integratori alimentari a base di Omega-3 il declino progressivo delle funzioni cognitive sia soggetto ad una notevole decelerazione rispetto all’iter naturale del morbo.

Secondo la rivista American Journal of Clinical Nutrition, il trattamento palliativo con le vitamine e in particolare l’utilizzo della B12 e della D possano fornire uno ‘scudo protettivo’ nei confronti di chi è malato: “Un alto utilizzo di vitamina B12 può ridurre il rischio di demenza se associato anche omocisteina [Composto organico, aminoacido solfuorato (detto anche acido γ-tio-α-aminobutirrico), che compare come prodotto intermedio nella trasformazione della metionina in cisteina.”

“Frutta e ortaggi possono svolgere un ruolo importante nel ritardare l’insorgenza della malattia di Alzheimer, in particolare tra coloro che sono ad alto rischio di malattia”: è quanto si può leggere all’interno della rivista American Journal of Medicine che dal 2006 ha sposato la tesi della corretta alimentazione per far fronte a questo grave disturbo. Infatti secondo gli scienziati coloro che hanno bevuto succo di frutta fresco nel corso della propria vita per tre volte a settimana hanno soltanto 1/4 delle probabilità di contrarre questa malattia degenerativa.

In Italia, seppur a rilento, la strada sembra aprirsi alla ricerca attraverso un progetto di ricerca finanziato dall’Unione Europea che apre a nuove speranze di cura contro l’Alzheimer: una grossa sperimentazione clinica su 500 pazienti che, testerà l’efficacia contro la demenza di un farmaco già in uso per l’ipertensione: Nilvadipine che ha dimostrato di contrastare la formazione di placche beta-amiloide negli animali e quindi si prefigura come il primo farmaco che potrebbe rallentare il decorso della patologia. Si legge dall’Ansa, inoltre, che lo studio sarà coordinato da esperti del Trinity College di Dublino.

In attesa di ulteriori approfondimenti sull’epidemiologia di questo disturbo si acquisisce la “buona” consapevolezza dell’importanza della prevenzione, nella speranza di non intervenire con la farmacoterapia che però, per fortuna, è in piena evoluzione.

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