Se mi tradisce anche Ringhio mollo davvero

Il menù del calcio italiano ha proposto (o meglio ri-proposto), in sole 24 ore, Calciopoli, Scommessopoli, società fallite e curve chiuse per una farsa chiamata discriminazione territoriale. Mi sono preso un po’ di tempo per riflettere. Tra il giustizialismo e il colpevolismo io scelgo sempre la verità. E la verità a volte si fa aspettare, cosa difficile per noi italiani, abituati a giudicare tutto e subito, presi dall’ansia da scoop e dalla velocità con la quale le notizie corrono sui social. No, non ci sto. Non sono nessuno per dire che Gattuso è colpevole, e se volete saperlo non sono nessuno nemmeno per dire che Gattuso è innocente. Certo, le sue dichiarazioni odierne fanno male. Sentirgli dire che Se ho fatto una roba così io mi ammazzo davanti a tutti quanti, dovrebbe far riflettere. Non è informazione quella che piazza il presunto colpevole in prima pagina, sorvolando sui risvolti psicologici di tale sputtanamento.

Ringhio, 468 partite con la maglia del Milan e 73 con quella della Nazionale dovrà adesso difendersi dal più duro degli attacchi. Stavolta non basterà un tackle fatto con la solita veemenza. Così come non sarà sufficiente al suo amico e compagno Brocchi, accusato di altre pesanti combine. Attenzione perché non tutti sanno che nel codice sportivo vige un principio opposto a quello del codice civile. Detto in parole povere, così è chiaro per tutti: se nel civile sono gli altri che devono dimostrare la tua colpevolezza, nello sport sei tu (o chi per te) che devi dimostrare la tua innocenza. Cosa che non riuscì a Conte un anno fa, per esempio. Fu omessa denuncia, di certo un capo d’accusa molto meno pesante di quello che grava sulle teste dei due ex centrocampisti rossoneri: associazione a delinquere finalizzata alla frode e alla truffa sportiva. Vedremo.

Ne ho viste tante in questi anni, sebbene sia nato nel ’79 (insomma, non ho 80 anni). Ho visto partite truccate, sceneggiate archiviate, giocatori venduti, nel vero senso della parola. Ricordo ancora il gol di Tuta a Venezia contro il Bari. Una vittoria al 90′, il brasiliano che allarga le braccia, i compagni che lo guardano stranitiMa che hai fatto, dovevamo pareggiare” e i giocatori del Bari che lo rincorrono negli spogliatoi minacciandolo. Quel caso fu incredibilmente archiviato. Non andò molto meglio ad Andrea Masiello, uno che veniva chiamato il Thuram bianco e che aveva tutto per arrivare in nazionale. Classe, eleganza, forza, duttilità. Poi entra in contatto con un gruppo di zingari che lo coinvolgono nel più losco dei giri “Tanto ormai siete retrocessi” gli dicono. Lui si vende tutto, anche la dignità. E alla penultima giornata, contro il Lecce, segna nella sua porta con Gillet (altro condannato) che incredulo gli dice “Andava fuori Andre“. A proposito di Bari: una delle partite incriminate di quest’ultimo filone di indagini è Milan – Bari del 13 marzo 2011. Ricordo un’accesa discussione tra Cassano e il portiere Gillet, reo di essersi impegnato troppo. Anche qui le indagini diranno.

Ho visto Doni decidere le sorti di chi passava da Bergamo. Questo allenatore sì, questo no. Se Conte è durato così poco, all’Atalanta, è perché mise fuori squadra il capitano, il simbolo (all’epoca) della Dea. Qualcuno dovrà spiegarci perché nonostante la squalifica e l’accusa Cristiano (che oggi fa la bella vita a Mallorca) ha continuato a percepire lo stipendio dalla sua squadra. Forse perché altrimenti avrebbe fatto altri nomi? Ho visto giocatori di Lega Pro manovrare partite e campionati, presidenti regalare cavalli ad arbitri (Vi ricordate di Gaucci con Senzacqua?) dirigenti imitare Moggi in qualunque categoria perché l’esempio che ci passavano era quello del manager con le mani in pasta dappertutto.

Ci si è dimenticato che la maggior parte dei calciatori sono ragazzi di vent’anni o poco più che all’improvviso, specie in certe categorie si ritrovano a dover gestire soldi, successo e celebrità. Ed ecco venire a mancare figure di Presidenti padri come Romeo Anconetani, Costantino Rozzi, Paolo Mantovani. Per non parlare di Dino Viola. Potete starne certi, loro questi ragazzi li avrebbero convocati al bar, davanti ad un bicchiere di vino, e li avrebbero sgridati a modo loro, come si deve. Magari con qualche schiaffone. Se il calcio di casa nostra è arrivato a questo punto è anche colpa di chi, questi giovani calciatori, li ha lasciati soli. Senza esempi, senza guida, in mano a procuratori che hanno un solo obiettivo: guadagnare sempre di più.

Prima di chiudere le curve forse dovremmo chiudere le scuole, le parrocchie, le stanze di molte case dove si dovrebbero insegnare valori ed educazione. Non solo ai calciatori, ma anche ai tifosi. Quelli abituati a insultare gli arbitri senza nemmeno conoscere il regolamento (vedi fallo di mano di Alvarez, tanto per essere specifici), o a confondere l’antipatia con il razzismo, l’ironia con la discriminazione, l’invettiva con il cattivo gusto. È stata inventata una tessera del tifoso per punire poi una massa indistinta di persone e riempire ipocritamente una curva di bambini. Bambini che, per non essere da meno ai loro genitori (quelli che quando li accompagnano a giocare a pallone la domenica ce l’hanno con tutti: avversari, allenatore, arbitro) gridano merda al portiere avversario. Ed è qui che la gente che mi chiede Ma allora perché continui a seguirlo questo calcio?

E la risposta mi manca, faccio fatica ad essere credibile come un tempo. Parlo di passione, d’amore, di un cuore che ti batte forte per il gol della tua squadra. Ma oggi no. Oggi sono davvero in difficoltà. E se dovesse tradirmi anche uno come Ringhio, beh forse mollerei davvero.

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