Rosso Istanbul, l’esordio di Ozpetek sulla scia dei ricordi

“Tutto comincia una sera, quando un regista turco che vive a Roma decide di prendere un aereo per Istanbul, dov’è nato e cresciuto..”. L’esordio letterario di Ferzan Ozpetek, Rosso Istanbul, è esattamente questo: un viaggio di ritorno autobiografico alle proprie radici, un percorso di vita a ritroso di un uomo, adulto e realizzato, nei ricordi, dolci e malinconici, del proprio passato. Il punto di arrivo è la città sul Bosforo, e quella villa bianca circondata dai tigli da cui si poteva vedere l’azzurro del mare di Marmara, che ruspe e bulldozer stanno per buttare giù.

La casa di famiglia, abbandonata a diciott’anni per inseguire a Roma il sogno del cinema, lo accoglie e lo stordisce con le memorie del’infanzia e della sua eccentrica famiglia: la madre, che si è sposata due volte e mette l’amore sopra ogni cosa; l’anziana domestica Diamante; le zie Betul e Güzin, libere da legami e affamate di vita; la nonna, “principessa ottomana” che gli fece scoprire il cinema. Un piccolo harem di donne forti e bellissime dove manca un padre, assente e lontano anche quando c’è. E poi Yusuf, il primo amore, proibito e perduto.

Sensazioni, profumi, sapori e colori scandiscono questo intimo sguardo al passato da un presente carico di Hüzün, quella struggente nostalgia per ciò che è stato e che non potrà mai più essere. Quel sentimento in chiaroscuro che si confonde nei colori di Istanbul. Il blu della Moschea di Rustem Pasha e soprattutto il rosso. Il rosso dei vecchi tram, dei carrettini dei venditori ambulanti di simit, il rosso di certi tramonti sul Bosforo che si mischiano all’azzurro del cielo, il rosso di uno smalto sulle unghie di una madre o dell’abito di una donna che va incontro ai poliziotti per difendere un parco. Il fascino della “terra di mezzo”, sospesa come un ponte tra Oriente e Occidente, lo sorprende ancora una volta, e lo trattiene, anche se lui vorrebbe andare via.

In un gioco autoreferenziale, l’anonimo regista si racconta al lettore, capitolo dopo capitolo, in un diario personale scritto con ironia, passione e sensibilità. Tutto è come in uno dei tanti film di Ozpetek, solo che questa volta il protagonista sembra essere proprio lui. E come in una scatola magica, la “sua” storia si intreccia ad un’altra storia. Quella (inventata) di Anna. Sono partiti insieme. Non si conoscono, o almeno non ancora. Anna e suo marito Michele sono in viaggio di lavoro e di piacere. Da un lato c’è un uomo, un artista, che tutti conosciamo, dall’altro lato c’è la vita di una sconosciuta che all’improvviso va in mille pezzi. «Quand’è l’ultima volta che hai fatto una cosa per la prima volta?». Istanbul diventerà per Anna l’occasione unica di strapparsi di dosso la sua vita come se fosse un vestito vecchio e logoro e di ricominciare tutto daccapo. La sua rivoluzione coincide con quella dei ragazzi di Gezi Park e di Piazza Taksim che le faranno provare l’ebbrezza di una nuova libertà. Due storie iniziate assieme, da un incontro in aeroporto, due destini che si sfiorano lungo tutte le centoundici pagine del libro, fino a convergere inesorabilmente, alla fine, verso la stessa direzione: un posto caldo, al Sud.

Un posto da raggiungere senza realmente partire ma solo trovando il modo di accendere una luce nella nostra oscurità. E’ l’amore questa luce. Quell’amore che succede e basta, senza un motivo, senza fare differenze di sesso, di età, di razza o di tempo. Rosso Istanbul non è solo un libro sulla riscoperta di sé stessi, ma è soprattutto un libro che parla la lingua dei sentimenti più autentici, e questo lo rende il regalo di Natale perfetto per le persone a cui vogliamo bene. Perché, come leggiamo nella dedica iniziale, “…davvero l’amore è la cosa più importante della vita”.

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