La sposa è atea, matrimonio nullo per la Sacra Rota e per lo Stato

Ha destato molto scalpore una sentenza della Corte d’Appello di Bologna, che ha ritenuto nulli anche gli effetti civili del matrimonio tra due giovani di Parma, annullato in precedenza dalla Sacra Rota, perché la donna si era sposata in chiesa nonostante fosse atea.

La vicenda alla base della decisione è molto semplice: un matrimonio, celebrato nel 1996, che dura poco e si conclude nel 2005 con la dichiarazione di nullità da parte della Sacra Rota. Nel 2009 la Corte d’appello di Bologna dichiara l’efficacia della sentenza ecclesiastica anche per l’ordinamento giuridico italiano, ritenendola non contraria all’ordine pubblico.

Contro questa sentenza la sposa ricorre in Cassazione, sostenendo di aver simulato la fede cattolica, ma non il consenso agli effetti civili del matrimonio , con tutto quello che ne deriva, come per esempio gli alimenti, in caso di divorzio.

La Cassazione, però, respinge il ricorso, confermando quanto stabilito dalla Corte di Appello di Bologna. Quindi, se la sposa è atea e non ha mai nascosto al partner di non credere nel sacramento, sono nulle le nozze religiose, ma non solo. È nullo anche il matrimonio civile, per “simulazione totale” e “divergenza tra volontà e dichiarazione”. Quelle nozze, insomma, è come se non ci fossero mai state, né per la Chiesa né per lo Stato.

Il “consenso” nel matrimonio ecclesiastico, il fatidico “Sì, lo voglio”, deve essere pieno e consapevole, nel senso che affinché il matrimonio sia valido, gli sposi devono accettare consapevolmente tutte le sue implicazioni, nessuna esclusa. In caso contrario, si parla di simulazione del consenso, ciò vuol dire che si fingono intenzioni non reali durante la celebrazione del matrimonio.

Lo Stato italiano è più rigoroso in materia di annullamenti matrimoniali, ma il suo ordinamento prevede il divorzio in maniera molto ampia. La Chiesa viceversa è più attenta a che il matrimonio sia contratto validamente, cioè da persone capaci, libere, prive di impedimenti, proprio perché l’impegno che queste si assumono è quanto mai serio e destinato a durare per sempre.

A ben guardare il vero problema, sottostante a tutta la questione, non riguarda i valori, ma questioni economiche. Perché allo stato attuale della legislazione italiana, dal punto di vista economico-patrimoniale per il coniuge più debole è di fatto più conveniente avere una sentenza di divorzio, che una di nullità.

La colpa di questa situazione non è né del diritto canonico, né della Rota, né del Concordato, ma solo e soltanto del legislatore italiano, che non ha mai provveduto ad emanare una legge matrimoniale attuativa delle disposizioni concordatarie del 1983, nella quale contemperare due principi: uno giuridico, per cui da un accordo nullo non discendono obbligazioni, neppure di carattere economico; uno sociale, per cui occorre prevedere sistemi di solidarietà per le parti più deboli di un matrimonio mai sorto validamente, ma il cui rapporto si è protratto comunque nel tempo.

Al di là della questione specifica, il ragionamento alla base di questa sentenza della Cassazione, se estremizzato, appare pericoloso, perché potrebbe ledere la libertà della parte economicamente più debole del matrimonio, in quanto, la necessità di ottenere il sostentamento necessario, porterebbe a rinunciare alle proprie convinzioni ideologiche e religiose.

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