I limoni della Terra dei fuochi non sono pericolosi. Parola di agronomo

I giornali e le pagine web ne hanno titolato per mesi: esistono i cosiddetti “limoni della Terra dei fuochi” coltivati nelle zone a rischio in Campania, che hanno subito una mutazione nella forma, diventando pericolosi e velenosi a seguito della tossicità del suolo.
La redazione di BlogLive si è subito attivata per vederci chiaro ed analizzare, insieme ai lettori, cosa effettivamente stia succedendo in quella zona e quali danni possa arrecare alla salute della popolazione la coltivazione e l’utilizzo di questi agrumi a scopo alimentare.

È per questo che abbiamo richiesto l’intervista a un esperto di Patologia Vegetale, il dott. Gaetano Magnano di San Lio, direttore del Dipartimento di Gestione dei Sistemi Agrari e Forestali della Facoltà di Agraria dell’Università degli Studi di Reggio Calabria, con lo scopo di saperne di più e di capire il livello di rischio per la popolazione.

Ultimamente in rete circolano immagini relative a un limone anomalo, ribattezzato dalla popolazione come “agrume della terra dei fuochi”. Cosa può dirci sulla forma anomala di questo frutto? È dovuta effettivamente a una tossicità critica di quella zona?
Le deformazioni dei frutti di limone mostrate in quell’immagine sono causate dall’attacco di un parassita comune in tutte le aree dove si coltivano gli agrumi e in particolare il limone, che ne è particolarmente suscettibile. Si tratta dell’acaro Aceria sheldoni che, alimentandosi sulle giovani gemme degli agrumi, induce la formazione di frutti deformi noti da più di un secolo con il nome comune di “meraviglie”. L’alterazione non ha nulla a che vedere con l’inquinamento ambientale. Al contrario, la presenza di una elevata percentuale di frutti deformati attesterebbe che in quell’area non sono stati fatti trattamenti chimici contro l’acaro.

Quanto può essere pericoloso per la popolazione un agrume simile?
La tossicità per l’uomo non esiste perchè le caratteristiche chimiche del frutto non vengono alterate. Il frutto è incommerciabile per motivi estetici.

Quali piante potrebbero effettivamente risentire della criticità di quella zona?
Prima di rispondere a questa domanda bisognerebbe prima accertare in modo scientificamente attendibile quali inquinanti sono stati rilevati, in quali aree e in quali concentrazioni.

Cosa si sente di consigliare alla popolazione partenopea?
Di pretendere che vengano individuate e delimitate le aree effettivamente inquinate, che siano identificati gli inquinanti e ne vengano determinati con metodi ufficialmente riconosciuti i livelli nel suolo, nelle acque e nei prodotti agricoli.

Che venga data una corretta e puntuale informazione. Che per la lotta alla Camorra si utilizzino mezzi e strumenti più efficaci e mirati che non colpiscano indiscriminatamente interi comparti produttivi e fasce sociali deboli come quelle degli addetti all’agricoltura, propagandando notizie generiche e come tali allarmistiche anche se in qualche caso fondate.

Rischio rientrato, dunque: l’acaro modifica solo le caratteristiche estetiche e non organolettiche, non causando alcun disagio alla popolazione che può nutrirsene serenamente senza danni alla propria salute; anzi, la presenza di piante contaminate potrebbe essere, addirittura, un bioindicatore per indicare l’uso di pesticidi.

L’allarme lanciato sul web non è altro che una strumentalizzazione basata sull’emotività provocata dalla vista di anomalie attribuibili a un fenomeno non ancora conosciuto in tutte le sue sfaccettature.

Si ringrazia il dott. Gaetano Magnano di San Lio per la cortese collaborazione.

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