La madre del troll è sempre incinta

C’è chi, come il grande Flaiano, vive la sua vita “con i piedi fortemente appoggiati sulle nuvole”; chi, invece, i piedi ce li ha fortemente appoggiati sulla rete. Sul web. Parlo dei giornalisti, dei copywriter come me, dei “social media cosi”, dei marketer. E pure dei politici e dei vip, perché no?

Chi lavora molto sul web, lo sa bene: la madre del troll è sempre incinta. Come chi è – o cos’è – un troll? Nella mitologia scandinava, il troll è un folletto maligno e dispettoso. Questa figura è stata poi presa in prestito, per così dire, dal mondo di Internet. Oggi, il troll è colui il quale prende di mira un personaggio, possibilmente influente, e inizia a tempestarlo di messaggi e messaggini, facendo di tutto per rompere le uova nel paniere. Uova, si fa per dire.

Con i social, poi, questa pratica diventa ancora più diffusa. Basta un attimo per contattare un vip. Su Twitter, il social del tempo reale per eccellenza, è sufficiente una chiocciolina davanti al nome del personaggio. Basta anche un hashtag, il cancelletto che si apre sulle più disparate conversazioni, o sui più torbidi sproloqui, inerenti un certo argomento. O, ancora una volta, una certa persona.

Maggiore è l’influenza sulla rete, la presenza sulla rete di questa persona, maggiori sono le possibilità che questa, più prima che poi, venga “trollata” da qualcuno.

Succede persino ad Al-Quaeda. Proprio così. Nell’agosto del 2013, l’esperto americano di terrorismo ed estremismo J.M Berger sostiene che Al-Quaeda abbia lanciato su Twitter questo hashtag #اقتراحك_لتطوير_اﻹعلام_الجهادي – suggerimenti per migliorare i media dei jihadisti. Dopo la richiesta di aiuto da parte della rete di Berger, l’hashtag in questione ha iniziato a circolare su Twitter, con il proposito originale del tutto stravolto dagli utenti.

Ecco qualche tweet esemplificativo.

Ma questo è un caso di trolling con un buon fine, diciamo così. Di solito, invece, lo scopo del troll è quello di ferire, disturbare, inveire, infierire, sparare sentenze. Lo sa bene il cantante James Blunt.

Blunt, infatti, riceve ogni giorno decine e decine di tweet da parte dei suoi ormai amici troll. A quanto pare il buon James non è solo bravo nell’arte del canto; se la cava davvero bene anche in quella dello spegnere il trolling, senza farlo diventare flame. E lo fa con un’ironia intelligente, garbata, brillante. Un vero esempio non solo per chi è circondato da “folletti malefici”, ma anche per chi sul web ci lavora tutti i giorni e, puntalmente, si ritrova a dover rispondere a tweet o a commenti pungenti.

Così come esistono le file interminabili alla posta, il semaforo che scatta sempre sul rosso mentre stiamo per passare noi, le pentole antiaderenti che non anti-aderiscono e i pallini di cotone che si formano nell’ombelico degli uomini, così esistono i troll. E tutti, o comunque in molti, se ne ritroveranno uno sul proprio profilo Twitter, Facebook, Google Plus, LinkedIn…

Inutile sperare che non arrivi. Arriverà, il troll di turno arriverà. L’importante è sapergli chiudere il #cancelletto in faccia con un sorriso.

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