La protesta #NotAMartyr dilaga sul web

Girano sul web selfie di protesta di giovani libanesi contro gli attentati di marca fondamentalista, carnefici anche di vittime innocenti. È proprio da un attentato con un autobomba a Beirut che tutto questo ha preso il via.
Si tratta della morte dell’oppositore politico di Mohamad Chatah – da alcuni ritenuto un possibile futuro ministro – ucciso nell’esplosione di una bomba. Insieme a lui sono morte anche quattro altre persone, tra cui un ragazzo sedicenne, Mohammad Chaar, che si trovava nella zona con alcuni amici.

I principali media del paese, e quelli internazionali, hanno incentrato la notizia sulla morte del politico, menzionando semplicemente la morte degli innocenti.

Sul web, e soprattutto sui social network l’attenzione si è concentrata principalmente sulle quattro vittime, e specialmente sull’adolescente, soprannominato un “martire” da parte di alcuni. Pagine facebook e account Twitter Notamartyr stanno riscuotendo grande successo in tutto il mondo.

Gli organizzatori della protesta incoraggiano i loro follower a postare selfies, l’autoscatto che va tanto di moda ora e che poi viene diffuso sui social, con l’hashtag #NotAMartyr, e con un semplice messaggio. In centinaia stanno già partecipando, ma sicuramente il numero aumenterà.

È stato richiesto un selfie perché pochi momenti prima dell’esplosione Chaar e i suoi amici si stavano facendo una foto di gruppo sulla strada, completamente ignari della crudeltà del destino, e degli uomini. Proprio quest’immagine di tutti e quattro i ragazzi, e quella del corpo insanguinato e senza vita, sull’asfalto, di Chaar, sono state ampiamente condivise: migliaia di tweet #RIPMohammadChaar su innumerevoli blog e pagine personali.

Siamo devastati dalla violenza insensata e desideriamo esprimere questi sentimenti e queste idee”. Sono le parole, forti, di un ragazzo venticinquenne, Dyala Badran, uno tra i primi ad aver usato l’hashtag #notamartyr dopo l’attentato.

Queste immagini hanno sollevato molte questioni, prima tra tutte quella della sicurezza, e poi a seguire la corruzione, il problema del fondamentalismo, e le prese di potere del governo, che spesso usano la parola martire come un modo di politicizzare violenza, disumanizzando coloro che vengono uccisi. La protesta serve anche a questo, a ricordare che la parola martire si riferisce a persone che sono vittime innocenti della violenza di cui è capace l’uomo.

Impostazioni privacy