Rodman in Corea, la questione si fa seria

Grande festa in Corea del Nord: l’8 gennaio si è celebrato il compleanno del capo del regime di Pyongyang Kim Jong-un. Feste popolari e private con un ospite d’eccezione: Dennis Rodman. Nessuna stranezza vista la grande amicizia che lega “Il Verme” con il dittatore adesso 31enne. La notizia era nota negli ambienti sportivi e non solo, ma quanto accaduto ha sorpreso presenti e non, alimentando le polemiche sulle avventure e gli eccessi dell’ex gloria Nba.

I fatti sono indubbiamente particolari e meritano una ricostruzione: nei mesi scorsi i contatti tra Rodman e Kim Jong si erano intensificati in modo notevole, con l’ex cestista americano autore di numerose visite nella base del “Maresciallo” nordcoreano. Tra smentite e promesse si vociferava di un possibile approdo del Verme alla guida della nazionale di basket locale e, per rafforzare queste voci, era stata organizzata una partita di esibizione in terra asiatica che avrebbe visto coinvolti alcuni nomi illustri del basket americano del passato.

La ricorrenza e i festeggiamenti per Kim Jong si sono trasformati nell’occasione perfetta per sigillare i rapporti tra questi due personaggi particolari, con Rodman autore di un siparietto fuori programma che ha scatenato l’ilarità dei presenti e del dittatore di Pyongyang. Prima del match l’eccentrica ex stella di Chicago con canotta blu, occhiali da sole e innumerevoli piercing facciali ha intonato il più classico “Happy Birthday” indirizzando saluti e cenni d’intesa verso il suo grande amico, con l’intero palazzetto a ritmare le note della canzoncina.

Rodman come Marilyn Monroe: impatto visivo e stili non proprio paragonabili ma la stessa resa provocatoria. Pittoresco ed esibizionista, Dennis non ha fatto altro cha alzare il livello di tensione intorno a queste sue spedizioni in terra nordcoreana. Il governo americano e la stampa non hanno gradito determinate dichiarazioni rilasciate dall’ex giocatore, il tutto sfociato in una lite televisiva occorsa in occasione della presentazione della partita promozionale.

Durante la conferenza stampa pre-match Rodman, visibilmente fuori controllo, ha dato vita ad un alterco con un giornalista della CNN che chiedeva conto, visti i rapporti tra Il Verme e Kim Jong, di Kenneth Bae, cittadino americano agli arresti in quel di Pyongyang con accuse non del tutto chiare, impossibilitato ad essere rilasciato e senza alcuna possibilità di contatto con l’ambasciata americana.

Rodman in un primo momento inveiva contro il giornalista asserendo che la questione diplomatica non rientrasse nelle sue mansioni, lasciandosi scappare un commento, compiacente al regime, in cui indicava come Bae evidentemente qualcosa avesse fatto per finire agli arresti“. In un secondo momento, sempre più infervorato, additava la stampa e l’America di aver fatto poco per creare un ponte di dialogo con il governo della Corea del Nord, evidenziando e mettendo in luce quali fossero i suoi meriti di mediatore per un futuro più roseo tra due realtà tanto lontane e tanto separate.

Polverone mediatico e accuse poco velate nei confronti di Rodman, ritenuto colpevole di esser stato totalmente plagiato dal leader Kim Jong al punto tale da disconoscere evidenti violazioni dei diritti umani, senza contare la presa di posizione sulla questione Bae, poco gradita in terra americana. Qualche ora di riflessione e immediato intervento chiarificatore: tramite il proprio portavoce Rodman ha diffuso un comunicato in cui manifestava le più sentite scuse verso la famiglia del missionario americano agli arresti ammettendo di aver presenziato alla conferenza stampa “stanco, stressato e ubriaco”.

La trama s’infittisce; il caso diplomatico e la questione internazionale si fanno sempre più spinosi. Quel che appare certo è che il ruolo di ambasciatore di Rodman , così si definiva nel dicembre scorso, appare bizzarro, almeno quanto lo è il personaggio in questione. Non resta che attendere la prossima puntata de “Le avventure del Verme in Corea del Nord”.

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