Lo sport, ed il calcio in particolare, rappresentano per la Sicilia lo specchio dell’attuale condizione economica e sociale. La normalità é ormai caratterizzata da tante belle promesse di inizio stagione da parte di improvvisati Abramovich di quartiere, contornate da fastose presentazioni di progetti ambiziosi ma privi di ogni base economica e che si trasformano ripetutamente in fallimenti desolanti. Ciò che é successo ieri a Ragusa é solo l’ultimo degli episodi che mostrano la reale faccia del calcio siciliano, oggi sempre più nell’abisso, a parte quelle poche realtà che resistono (Catania, Palermo e Trapani).
Il caso
La società, che sta provando a chiudere delle trattative di cessione delle quote con delle cordate locali, non potrà comunque affrontare la trasferta contro la Gioiese pertanto, ha messo in scena questo indecente spettacolo con l’unico fine di guadagnare tempo, allungando l’agonia. La realtà é che il Ragusa é colmo di debiti e difficilmente qualche benefattore, visto il periodo economico negativo, rileverà il sodalizio. Gli stessi calciatori senior rimasti nel mercato di riparazione, non si allenano da 15 giorni ed aspettano la radiazione del club per poter riprendere l’attività agonistica da qualche altra parte, si augurano prima che la stagione finisca.
Un altro pezzo storico di calcio siciliano pronto ad essere spazzato via.
Gi anni in cui in Sicilia per sognare la domenica non c’era bisogno di un telecomando o di un tablet, non c’erano Vidal e Balotelli, ma c’era una squadra che scendeva in campo per la gloria, a prescindere dal campionato, e l’unico problema della vita in quei 90 minuti, era urlare più forte degli avversari perché orgogliosi di essere siciliani, orgogliosi di essere quelli che nei campi di provincia facevano più paura, molto più di Vidal e Balotelli.