Accordo Renzi-Berlusconi, chi rischia alle prossime elezioni

All’indomani dell’accordo siglato tra Renzi e Berlusconi sulla nuova legge elettorale e sull’abolizione del Senato, parecchie voci si sono alzate contro. Facile intuirne i motivi.

Una legge proposta dai due partiti più grandi e a vocazione maggioritaria non può che essere un rischio per i tanti partitini che tra varie vicissitudini hanno continuato ad esistere, nonostante il tentativo di bipolarismo degli ultimi anni. D’altronde proprio il Pdl si è recentemente diviso, e una sua componente, oggi al governo, il Nuovo Centro Destra di Angelino Alfano, di certo non è felice di dover elemosinare posti nelle circoscrizioni chiedendo una forma di desistenza a Berlusconi e Forza Italia. D’altro canto le riforme per essere attuate devono passare dal Parlamento attuale, e per garantire altri mesi di durata a questo mandato l’unico modo è quello di tenere a bada lo stesso Alfano e i suoi, motivo per il quale il primo obiettivo, quello di un modello alla spagnola, è stato accantonato.

Ma l’Italicum, come è stato ribattezzato il sistema su cui si è trovato l’accordo, presenta pur sempre due grossi ostacoli: liste corte in circoscrizioni piccole e sbarramento al 5%. Ecco allora che il primo grande sconfitto in partenza sembra quel centro di Casini e Monti che in teoria faticherebbe non solo ad avere un peso in Parlamento, ma anche addirittura a farne parte. Altro grosso problema per Sel, che pur trovandosi in disaccordo con la linea politica di Renzi, sembra costretto a ri-allearsi con il Pd o addirittura a confluirvi, per non rischiare di sparire. Discorso simile a destra per il Ncd e per la Lega. Ecco, quindi, che ci si troverebbe di colpo ad assistere alla solita sfida tra coalizioni, con buona pace di chi spererebbe in un sistema all’americana. Poche, se non nulle, le speranze di entrare in Parlamento, infine, per i Partiti di estrema sinistra.

Altro nodo per il quale sicuramente l’accordo Renzi-Berlusconi potrebbe trovare ostacoli è quello della riforma istituzionale riguardante il Senato. Un Senato delle autonomie, con rappresentanti delle Regioni non eletti, di fatto segnerebbe la scomparsa di 315 senatori. Ma per passare la riforma deve essere approvata dall’attuale Parlamento, e quanti senatori voterebbero volentieri l’abolizione della loro Camera? E quanti deputati, con meno sedie da dividersi, lascerebbero la loro posizione ai big “esodati” dal Senato?

Facile capire che la strada per le riforme non è solo lunga, ma anche parecchio complicata, e i due leader dei maggiori Partiti potrebbero ritrovarsi a dover controllare dissidi interni e falchi tiratori, perché in fondo i buoni propositi e il buon senso parrebbero seguire la strada del cambiamento, ma alla propria poltrona non sono in molti a saperci rinunciare.

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