Kevin Durant, un mese da Dio

San Antonio, 23 gennaio. Siamo negli ultimi 3 minuti del match tra gli Oklahoma City Thunder e gli Spurs di coach Popovich. La partita è in equilibrio, le squadre distanziate di pochi punti. Kevin Durant, dopo una buona partita da 27 punti, è 1/5 nell’ultimo periodo. Scott Brooks lo ha richiamato in panchina visto che anche uno come lui, con una massa grassa pari quasi a zero e una resistenza degna di un maratoneta, ha bisogno di qualche minuto per rifiatare. A 3 minuti dalla fine torna in campo, con lo sguardo di chi sa che una vittoria contro una diretta concorrente al trono di miglior squadra della Western Conference vale il doppio delle altre.

Dopo un paio di errori a qualcuno saranno tornate in mente le Finals del 2012 contro Miami e le prestazioni non all’altezza di Durant, che in quelle 5 partite nei momenti importanti non è riuscito ad essere decisivo come ci si sarebbe aspettato da un fuoriclasse come lui, a differenza di Lebron James, che proprio da quella serie ha dato inizio al periodo d’oro della carriera. Ma dal giugno di 2 anni fa le cose sono cambiate, e gli ultimi possessi di KD nella partita contro gli Spurs sono il manifesto del salto di qualità mentale e tecnico compiuto: Alley Hoop su assist di Lamb e 2 triple di una difficoltà pazzesca, che di fatto chiudono i giochi a favore di Oklahoma. 36 punti, 7 rimbalzi e 5 assist il tabellino finale del numero 35, e hasta la vista a Duncan e compagni.

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Nelle ultime 11 partite, giocate da inizio gennaio ad oggi, numeri come quelli messi insieme contro gli Spurs sono il pane quotidiano per Durant, che con la leggerezza di una piuma e la velenosità di un cobra (il black mamba per adesso lasciamolo stare…) ha spazzato via tutti gli avversari che gli si sono posti dinanzi. Nemmeno squadre come Portland e Golden State hanno frenato la furia di un giocatore in stato di grazia divina: contro Aldridge e compagni ne ha messi 46, con tre triple dal palleggio nelle fasi decisive, contro i Warriors ha fatto segnare il suo massimo in carriera: 54. Era dai tempi di Jordan e O’Neal che non si vedeva qualcuno in grado di andare per 11 partite consecutive oltre i 30 punti (e 4 volte oltre i 40). Ad essi poi vanno ad aggiungersi anche più di 6 rimbalzi e soprattutto 6 assist di media, che testimoniano il completamento di un repertorio a cui ormai sembra mancare nulla.

In un momento in cui l’altra stella della squadra, Russel Westbrook, è ferma in panchina per infortunio, Durant non solo ha migliorato notevolmente le proprie cifre, ma ha condotto i suoi in vetta all’Nba. Stanotte affronterà proprio la sua nemesi, quel Lebron James che in estate è spesso suo compagno di allenamenti e di nazionale. Quando però ci si affronta viso a viso l’amicizia non conta più, e Durant di certo non vorrà fermare proprio ora la sua ascesa.

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